Brucellosi, le responsabilità dell’Università

di Sergio Olmo

CASERTA – Sarebbe potuta anche passare inosservata la paginata della rivista del Dipartimento di Veterinaria della Federico II dal titolo “Facciamo chiarezza contro le fake news”, a cura dell’istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno di Portici, sulle politiche degli abbattimenti per sospetta brucellosi di decine e decine di migliaia di bufale casertane, ma così non è stato.
Sebbene a distanza di circa un anno, la sua pubblicazione sul sito della prestigiosa università napoletana non ha mancato di sollevare polemiche e contraddittorio.
Sul banco degli imputati, sette tesi, presunte anti fake news, che danno l’esatta misura della posizione assunta dall’establishment veterinario campano, evidentemente condivisa dall’Università federiciana, rispetto alle scelte operative messe in campo dal presidente della Regione Campania di Vincenzo De Luca e dal direttore dell’istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno Antonio Limone attraverso i veterinari dell’Asl casertana che, come è noto (alla luce degli atti ufficiali che azienda sanitaria ha dovuto consegnare alla Procura di Santa Maria Capua Vetere a dicembre 2021 nell’ambito di un procedimento penale) hanno comportato dal 2011 al 2021 oltre 100mila abbattimenti per sospetta brucellosi e sospetta tubercolosi di capi risultati poi sani alle indagini post mortem.

Le sette tesi
dei veterinari federiciani
Vediamo le sette tesi: 1) le bufale vengono abbattute non per effetto delle ordinanze emesse dalle autorità regionali ma per effetto delle leggi nazionali e internazionali; 2) Nei dieci anni di cui sopra le bufale abbattute sono 65.273 per la solo brucellosi (e qui si ammette che si tratti della sola brucellosi e che questo numero comprende anche i negativi o falsi positivi qual dir si voglia; 3) i capi che risultano positivi agli esami sierologici ma negativi agli esami batteriologici non sono falsi positivi. Segue una breve enunciazione, trita e ritrita, sui risvolti di eventuali casi di brucellosi; 4) La scelta del macello al quale portare le bufale sulle quali pende l’ordinanza di abbattimento è attribuita all’allevatore che sceglierà, possibilmente all’interno della regione, quello più economicamente conveniente. Qui vi è un richiamo esplicito ad una norma definita vigente, l’Ordinanza Ministeriale del 23 giugno 2020 (la pubblicazione della rivista p di metà 2022, ndr) , che regolerebbe un po’ tutta la materia; 5) Eliminando gli organi di elezione della brucella (i cosiddetti organi bersagli) è possibile destinare le carni degli animali abbattuti al consumo; 6) L’azienda che abbatte gli animali non sospende la produzione di latte, ovviamente delle bufale sane; 7) Se la Campania negli ultimi dieci anni non avesse avuto un piano per l’eradicazione della brucellosi le bufale avrebbero continuato a produrre latte infetto che sarebbe finito nella catena alimentare e il comparto avrebbe ricevuto un danno grave.

Fake cosa?
Sette tesi, dunque, ma si potrebbe tranquillamente affermare anche: sette tentativi di influenzare l’opinione pubblica ricorrendo a specifiche omissioni che finirebbero per contraddire le proprie argomentazioni. Cosa abbastanza grave, se è vero, come si dice, che omettere o falsificare la realtà è di fatto mentire.
È vero infatti che la regolamentazione alla base dei piani di eradicazione della brucellosi prevede l’abbattimento degli animali infetti, ma non è la legge che decide se un animale o un allevamento è infetto o meno e va “depopolato”, cioè raso al suolo. Le decisioni spettano solo all’autorità veterinaria competente che in Campania è rappresentata da: la Regione Campania, le Aziende Sanitarie Locali e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno. In sostanza, si omette di riconoscere che la decisione dell’abbattimento non è della legge, ma di chi la legge applica e spesso, peraltro, commettendo errori di considerevole portata omettendo anche – attitudine consolidata – di rendere pubblici i dati riferiti agli andamenti delle attività di profilassi della brucellosi impedendo qualsiasi possibilità di ottenere dati omogenei e chiari. Ed è grave che, nonostante si ammetta (per pressioni giudiziarie) di aver abbattuto, per la sola brucellosi, oltre 65 mila capi (numero che supera si 100 mila se si aggiungono quelli abbattuti per sospetta tubercolosi) non si consideri questo dato gravissimo assumendosi peraltro la responsabilità di aver fatto ritornare i dati delle infezioni, che nel 2013 erano state quasi debellate del tutto, ai valori di venti anni fa.
Nell’articolo si afferma poi che “i capi che risultano positivi alle prove ufficiali di sierologia, ma negativi agli esami batteriologici non sono falsi positivi”. A prescindere dal fatto che in quasi tutti i 100 mila capi abbattuti negli ultimi dieci anni non si è trovato il patogeno nelle indagini post mortem, qui siamo comunque di fronte ad una quasi “bufala”, visto che neppure ci si pone il problema di sapere e far sapere se se gli animali sierologicamente positivi abbattuti provengano o meno da allevamenti in cui è stata poi confermata la presenza dell’infezione. La regolamentazione vigente, infatti, prevede che animali sierologicamente positivi non possono essere considerati infetti, a meno che non provengano da stabilimenti in cui sia stata confermata la presenza del batterio. Dato, questo, pervicacemente omesso al pari del dato relativo a quanti siano gli allevamenti “depopolati” senza che negli stessi fosse presente un solo caso confermato di infezione. Per capirci, senza almeno un caso confermato non si può e non si deve mai affermare che in uno stabilimento vi sia l’infezione brucellare. Il caso sierologicamente positivo è solo, per legge, un caso sospetto rispetto al quale non si può assolutamente procedere agli abbattimenti.
E, sempre a proposito di omissioni e falsificazioni, appare poco serio e credibile il riferimento normativo ad un’ordinanza del 2020 quando ben un anno prima della pubblicazione dell’articolo, il ministero della Salute ne aveva prodotta un’altra che già rinviava all’obbligo di doversi rifare alle norme del regolamento europeo sulla obbligatoria distinzione tra i casi sospetti e quelli confermati.
Quanto alla macellazione se è vero che a decidere in quale luogo portare i capi da abbattere siano gli allevatori non si capisce per quale motivo la regione non renda noti i dati in suo possesso che permetterebbero di eliminare tutte le polemiche su questo fronte. Altra omissione, insomma, quella sui dati relativi alla percentuale di animali avviati alla macellazione perché dichiarati infetti da brucellosi e tubercolosi nei singoli macelli della Campania.

Le altre domande
senza risposte
Inoltre piuttosto che chiedersi strumentalmente cosa sarebbe successo “se in questi ultimi dieci anni la Campania non avesse avuto un piano di eradicazione”, domanda scema visto che per legge (nazionale ed europea) la Regione Campania non poteva non avere un piano di eradicazione, meglio sarebbe stato chiedersi chi ha gestito le attività di (mancata) eradicazione) e per quale come mai la magistratura penale ha assolto tutti gli allevatori che erano stati denunciati per aver vaccinato i propri capi riconoscendo che tale vaccinazione ,al contrario di quanto affermato dagli esperti della Regione Campania e di quelli dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno e del Centro di referenza di Teramo, non è pericolosa per la salute dei consumatori. Ed anche per quale motivo continuino a denunciare gli allevatori e a multarli visto che la magistratura penale ha dichiarato la legittimità dei loro comportamenti ed il loro diritto a proteggere i propri capi. Oppure se ci sono stati e ci sono ancora stabilimenti nei quali si abbattono gli animali senza alcun caso brucellare o tubercolare confermato. O, anche, perché neghino in modo sistematico e arbitrario i dati delle prove diagnostiche effettuate sui loro animali agli allevatori che ne fanno richiesta, o quanto sono costati al cittadino, in questi anni, i piani di eradicazione della brucellosi a fronte dei risultati disastrosi registrati. Se poi le istituzioni regionali o zoo profilattiche rivelassero anche i nomi e i cognomi degli allevatori e dei veterinari “mariuoli” che il presidente De Luca indica come la “causa vera” della presenza della brucellosi e della tubercolosi bufalina, secondo una tecnica comunicativa ben nota in altri tempi e settori della società campana e siciliana, male non sarebbe.

Concludendo
Risposte a domande semplici che sarebbero notizie in grado di fare piazza pulita di qualsivoglia omissione o falsificazione e chiuderebbero l’era della post-verità sulla brucellosi e tubercolosi bufalina in Campania, magari, evitando l’uso dell’inglese che assomiglia tanto all’uso che Don Abbondio faceva del latino per confondere il povero Renzo! E spiace, concludendo, che a tutto questo si presti un’istituzione accademica di un certo prestigio.

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