“Capopiazza a 16 anni è una sconfitta”

"Capopiazza a 16 anni è una sconfitta"

NAPOLI Piazze di spaccio sempre aperte a Scampia. In una delle ultime operazioni anti-droga portate a termine dagli agenti di polizia è stato arrestato un ragazzo di 16 anni. Pare addirittura che Emanuele F. gestisse in prima persona un avamposto per il mercato della droga. Capopiazza a quella età. Qualcosa negli anni è stato sbagliato, visto che i giovani a Scampia, ma anche in altre zone di Napoli e del Sud Italia, invece di sognare di diventare professionisti affermati, si buttano anima e corpo nel malaffare. “E’ il fallimento della rete educativa di cui fanno parte famiglia, Stato e Chiesa – dice don Luigi Merola (nella foto a sinistra) viviamo in una società dove i modelli più seguiti sono negativi. Inoltre, a questi giovani non diamo gli strumenti adatti per capire che chi delinque, va in galera”. Secondo il parroco di Forcella, in cella inizia un’altra trafila. “Se credete che una volta in carcere i ragazzi si redimano, vi sbagliate di grosso. Anzi, succede il contrario. Negli istituti penitenziari hanno più possibilità di incontrare altre persone dedite al malaffare e quando escono hanno già il posto assicurato in un clan”. Dinanzi a scenari del genere la tentazione di mollare è forte. “Non per me – assicura don Merola – negli occhi dei ragazzi vedo sconforto. Si sentono abbandonati dalla scuola, che segue regole arcaiche, e dallo Stato. Per questo motivo non mollo”. “L’arresto di un capopiazza 16enne rappresenta una sfida che accettiamo con determinazione – dice don Aniello Manganiello (nella foto a destra) non ci arrendiamo al malaffare. Non è facile dare a questi ragazzi altre opportunità, ma ci dobbiamo provare”.

Leardi: “Lo Stato aiuti le famiglie”

Da nonna e da mamma Antonella Leardi, sa che anche nelle famiglie ci sono responsabilità quando un giovane a 16 anni sceglie il malaffare invece che una strada per costruirsi un futuro radioso. Madre di Ciro Esposito, il 29enne di Scampia morto nel 2014 a seguito di un agguato teso ai tifosi del Napoli a Roma a margine della finale di Coppa Italia vinta dagli azzurri contro la Fiorentina, e fondatrice dell’assocciazione “Ciro Vive”, dedicata appunto al figlio scomparso, la donna racconta la sua esperienza di madre a Scampia. “Ho cresciuto tre figli mentre lavoravo – dice Antonella Leardi – anche se non potevo essere sempre presente, ho seguito la loro crescita con cura. Quando non erano a casa con me, erano da mio padre. Quando hanno raggiunto l’età per poter uscire da soli, l’hanno fatto portandosi dietro un bagaglio di valori. Diciamo che i miei ragazzi sono stati fortunati. Altri, invece, hanno avuto più difficoltà”. “Alcuni di questi hanno il padre in carcere. In situazioni del genere lo Stato dovrebbe sostenere le madri nell’educazione dei figli. Ho girato parecchi penitenziari. In molti mi hanno detto che la delinquenza è la loro unica opportunità per guadagnare denaro. Non può e non deve essere vero”. A volte, però, il frutto caduto è marcio nonostante sia maturato su un albero rigoglioso. “In alcuni casi ho visto giovani avere a che fare con la giustizia nonostante provenissero da famiglie per bene. Per questo motivo, dico che lo Stato deve dare ai giovani l’opportunità di scegliere sempre la strada giusta e di dividere il branco quando si ha il sentore che se ne sia costituito uno. Togliere i ragazzi dai gruppi malsani è uno dei primi obiettivi da perseguire per aiutare i più giovani ad evitare di mettersi nei guai”.

Antonella Leardi

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