Corruzione, i giudici: Landolfi colpevole

Mario Landolfi, Foto © LaPresse

NAPOLI – Per un ex sottosegretario che viene assolto dalla Cassazione… c’è un ex ministro che viene condannato. E’ diventata irrevocabile la condanna per corruzione incassata dal mondragonese Mario Landolfi. La sesta sezione penale della Suprema corte, dichiarando inammissibile il ricorso presentato dal suo difensore, l’avvocato Michele Sarno, ha confermato la sentenza emessa il 19 gennaio 2022 dai giudici di secondo grado di Napoli: 2 anni di reclusione con la concessione dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione. Le due sentenze di merito hanno ritenuto Landolfi responsabile della corruzione del consigliere comunale Massimo Romano, reato che, si legge nella sentenza scritta dagli Ermellini, avrebbe commesso in concorso con Giuseppe Valente, già manager dei rifiuti e dal 2014 collaboratore di giustizia, Michele Orsi, imprenditore assassinato dall’ala stragista del clan dei Casalesi nel 2008, e Ugo Conte, ex sindaco di Mondragone (assolto, però, lo scorso ottobre, in Appello, dalla corruzione e condannato a 4 anni soltanto per estorsione).
Stando a quanto avevano ricostruito dai giudici di merito, il patto corruttivo ha avuto ad oggetto le dimissioni di Romano dalla carica di consigliere comunale, in cambio di prestazione in denaro, dissimulata attraverso la fittizia assunzione della moglie, Daniela Gnasso, presso la società Eco4, e della promessa di utilità future correlate al ruolo politico nell’amministrazione di Mondragone per Romano e per il fratello Agostino.

Le vicende del 2004

Il reato contestatogli dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli riguarda fatti del maggio 2004. A farli emergere è stata la maxi inchiesta Eco4 incentrata sull’affare rifiuti in provincia di Caserta (la stessa che ha fatto scattare la condanna per concorso esterno al clan dei Casalesi a 10 anni, in Appello, per Cosentino). Se Landolfi, ex ministro delle Comunicazioni nel governo Berlusconi III, è stato condannato è perché già nel corso del processo di primo grado dichiarò di rinunciare alla prescrizione. Nel ricorso, l’avvocato Sarno aveva puntato a censurare il giudizio di credibilità e di attendibilità della chiamata in correità di Landolfi da parte di Valente. Nel chiedere alla Suprema corte di annullare la condanna, l’avvocato aveva sostenuto anche che i riscontri esterni alle accuse erano pochi e le intercettazioni, invece, avevano documentato un contatto diretto solo tra Conte e Romano. La Cassazione, nel confermare la sentenza di condanna di secondo grado per Landolfi, ha ricordato che l’accordo corruttivo era già stato accertato nel procedimento a carico di Valente. Gli ‘Ermellini’ hanno anche ricostruito la genesi del patto illecito, che coincide con la questione relativa all’ineleggibilità della consigliera Maria D’Agostino a seguito della sua condanna per corruzione. Le dimissioni della donna o la sua decadenza avrebbero fatto venir meno la maggioranza che sosteneva la giunta del sindaco Conte. E così proprio Conte, Valente e Landolfi decisero di far leva su Massimo Romano, consigliere comunale eletto in una lista di opposizione. Prima lo avvicinarono attraverso il fratello Agostino, affinché lo convincesse ad appoggiare la giunta, o a dimettersi. Incassato il no e preso atto, però, delle difficoltà economiche in cui versava l’allora consigliere, Valente, informato Landolfi, si adoperò presso Orsi per la fittizia assunzione della moglie di Romano all’Eco4.

La Cassazione

“Il ruolo del Landolfi – scrive la Cassazione – è stato sostanzialmente individuato in quello di concorrente sia morale, in relazione alla condivisione ed autorizzazione del progetto corruttivo del Romano, che materiale, in relazione al successivo intervento per il conseguimento da parte del Romano del prezzo della corruzione”. L’assenso di Landolfi a questa operazione ha avuto una valenza “condizionante”. Secondo gli Ermellini, la difesa dell’ex ministro ha proposto argomentazioni in parte già dedotte nel giudizio di secondo grado e prive di adeguato confronto critico con la sentenza impugnata. La decisione della Cassazione di confermare la condanna d’appello è stata presa a gennaio, le motivazioni sono state rese note la scorsa settimana.
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