Economia, liberismo alle vongole

Nella stragrande maggioranza di quanti, in Italia, si occupano di politica credo valga quello che, negli anni Trenta del secolo scorso, scriveva Ignazio Silone: “L’odierna vita politica è piena di dilettanti presuntuosi. Le stesse persone che non oserebbero parlare di algebra o di chimica senza averle prima studiate, parlano a tutto spiano di politica, materia che non hanno mai conosciuto”. L’ignoranza a volte si trasforma addirittura in dramma allorquando c’è chi assurge, sia pure per volontà di un popolo altrettanto ignorante, a ricoprire cariche di governo.

Il paradosso diventa addirittura ridicolo innanzi al fatto che chiunque intenda aprire un esercizio commerciale – un fruttivendolo ad esempio – sia costretto a frequentare corsi di alfabetizzazione presso le Camere di Commercio, per poter ottenere l’apposita licenza, mentre chi governa il paese oppure legifera, è esentato da qualsiasi verifica di conoscenza delle cose politiche, economiche e sociali. Una realtà che rende concreta e realizza la previsione leninista che anche una cuoca possa governare la cosa pubblica. Da questo presupposto sono venuti gli eclatanti esempi della cosiddetta “rivoluzione grillina” e l’occupazione degli scranni parlamentari prima e del governo poi, di soggetti completamente a digiuno della prassi politica. Uno stato di fatto che ha dato, peraltro, la stura all’elogio dell’ignoranza come fattore di cambiamento e di rinnovamento in politica, allorquando era idea diffusa che sarebbero bastati l’onestà ed il buon senso per governare lo Stato.

Intendiamoci: non molto diversa era la condizione cognitiva degli altri eletti appartenenti a partiti diversi, con la differenza che almeno lì esisteva la conoscenza dell’organizzazione della macchina politica. Ignoranza ed indolenza indirizzano questa tipologia di governanti senza né arte e né parte, ad assumere atteggiamenti preconcetti ed opinioni prevenute sui criteri economici da adottare, reiterando, così nel tempo, le idiosincrasie verso tutto quello che, per “sentito dire”, risulterebbe poco affidabile se non proprio da evitare in quanto sorgente di diseguaglianze e di disarmonie sociali ed economiche. Un vecchio concetto contrario alla libera economia di mercato (il liberismo) e più in generale al capitalismo: uno stantio arnese ideologico, che gli idolatri del socialismo e dello statalismo ripetono come un mantra.

Tuttavia la storia delle dottrine politiche e le realtà economiche sconfessano quei pregiudizi, decretando, al contrario, la fine ingloriosa delle società socialiste nelle quali è lo Stato a detenere tutti i mezzi ed a stabilire tutti i fini, per mezzo dei suoi monopoli e degli interventi in campo economico. Molti presunti critici neanche distinguono la differenza tra il liberalismo – che cura le libertà civili e politiche – e il liberismo che altri non è che l’applicazione dei principi liberali in economia, ossia il libero mercato di concorrenza. Tuttavia è più facile rompere un atomo che un pregiudizio. Risultato: il carrozzone della politica politicante continua a marciare imperterrito sul binario della gestione statale a debito pubblico crescente, alimentando clientele ed assistenzialismo in favore dei blocchi sociali ed elettorali di riferimento. Due esempi: i sistemi di controllo e di interferenza del governo nel libero mercato, ossia quello del payback (retrocessione del pagamento) e quello degli Npl (acronimo di Non Performing Loans, che sta per “prestiti alla clientela deteriorati, oppure inesigibili”).

Nel primo caso lo Stato chiede ai propri fornitori di beni di restituire una parte del pagamento che essi stessi hanno regolarmente percepito come da contratto, perché non ha più soldi. Insomma una vera estorsione nei confronti di coloro che, ad esempio, hanno fornito attrezzature al prezzo convenuto, ancorché già utilizzate che lo Stato intende sostanzialmente restituire al mittente, chiedendo al medesimo di restituire il pagamento incassato! Roba da paese dittatoriale, che scoraggia ovviamente gli investitori e gli imprenditori stranieri dal mettere piede nel Belpaese. Con i crediti incagliati (Npl), invece, si fa ancora peggio, limitando i margini di interesse delle transazioni bancarie tra chi acquista, a proprio rischio e pericolo, crediti incagliati dalle banche per poi esigerli dal debitore con gli interessi. Anche in quest’ultimo caso, come per gli extra profitti bancari, lo Stato si sostituisce al mercato finendo per imporre gli ambiti massimi delle rendite derivanti delle libere contrattazioni. Insomma è il sistema pubblico a stabilire gli ambiti di “normalità del profitto” e di conseguenza quelli definiti extra, eventualmente da tassare ulteriormente. Siamo sostanzialmente all’espropriazione delle libere dinamiche di mercato. Insomma in Italia va di moda il liberismo alle vongole!

*già parlamentare
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