Elezioni, Letta anticipa il congresso: “Ma io non ci sarò”. Pronti Bonaccini, Schlein e Ricci

Foto Mauro Scrobogna/LaPresse 26-09-2022 Roma (Italia) Politica - Elezioni - PD, Commento al voto- Nella foto: il segretario PD Enrico Letta commenta il risultato delle elezioni nella conferenza stampa nella sede del PD

ROMA – Per spirito di servizio era tornato da Parigi, per lo stesso spirito di servizio Enrico Letta condurrà il Pd a un congresso, “nei tempi più rapidi possibili”, e poi lascerà, non ricandidandosi alla guida della segreteria. Il leader ne parla con lo stato maggiore in mattinata. Nella war room del Nazareno “quasi a sorpresa – riferiscono – non è il day after dell’inferno”.

L’analisi della sconfitta è netta e condivisa, e condivisa è anche la necessità di “evitare ulteriori traumi e nuove rotture al partito”. Ecco perché, nonostante alcune voci per un mandato da traghettatore a Enzo Amendola, alla fine la scelta è per una “gestione ordinata” del percorso di avvicinamento al congresso. La scadenza naturale è a marzo.

I tempi tecnici di avvio della legislatura e di formazione del Governo non permettono di partire prima di un mese, un mese e mezzo. Per mettere in moto la macchina e arrivare al traguardo ci vogliono poi “minimo tre mesi”. A gennaio – salvo colpi di scena – potrebbero tenersi le Regionali nel Lazio (data l’elezione di Nicola Zingaretti alla Camera) e in Lombardia. Il mese cerchiato in rosso per i gazebo potrebbe essere quindi febbraio.

Certo la rottura traumatica del campo delle alleanze non aiuta i dem a mettere insieme i cocci. Letta ribadisce la linea: “I numeri dimostrano che l’unico modo per battere la destra era fare il campo largo, non è stato possibile non per nostra volontà, si sono sfilati alcuni interlocutori”, insiste. Quanto a chi già bolla come affrettato l’addio al M5S, l’ex premier ricorda: “Se dopo Draghi arriva Meloni è per colpa di Conte che ha fatto cadere il Governo”. E su Carlo Calenda, taglia corto Letta, suo il “fuoco amico” che, ad esempio, non ha permesso a Emma Bonino di entrare in Parlamento (salvo colpi di scena derivanti dal riconteggio chiesto da +Europa).

Per il segretario, quindi, il congresso dovrà segnare una “profonda riflessione sul concetto di un nuovo Pd che sia all’altezza di questa sfida epocale, di fronte a una destra che più destra non c’è mai stata”. Intanto, però, sono i nomi dei possibili candidati al dopo Letta a circolare. Stefano Bonaccini resta una possibilità alla quale guardano in tanti. “Non è oggi il momento di iniziare una discussione che troppo spesso ha visto il Pd partire dai nomi e dai cognomi anziché dai contenuti – si schermisce lui – Io darò il mio contributo, serve una rigenerazione dalle fondamenta”.

Per il momento, assicura chi ci ha parlato, le parole d’ordine restano “calma e cautela, Stefano non farà nulla di sbagliato né di scomposto”. Ecco perché l’obiettivo principale del momento è quello di tenersi ben distante da ogni tipo di “corrente romana”. Bonaccini “se deciderà di candidarsi lo farà autonomamente, non sarebbe il candidato di una corrente – è il refrain – di certo non sarà il candidato di Base riformista”. Dall’area dem che fa riferimento a Lorenzo Guerini e Luca Lotti confermano: nessuna volontà di mettere marchi su possibili candidati, anche se – è la certezza consegnata a taccuini chiusi – “se Bonaccini si candidasse noi lo sosterremmo”. 

In campo, in un derby tutto emiliano, potrebbe esserci anche la vicepresidente di Bonaccini in Consiglio regionale, Elly Schlein. Incoronata dal ‘Guardian’ come “stella nascente” del centrosinistra e volto ‘anti Meloni’ della campagna elettorale, l’ex europarlamentare potrebbe essere la carta ‘left’ da giocare, entrando poi a pieno diritto in quelle “nuove generazioni” alle quali Letta ha fatto riferimento per il futuro. “Lei potrebbe vincere – azzarda qualcuno – però è un corpo forse troppo estraneo al partito”.

Non solo loro due, però. Anche Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e coordinatore dei primi cittadini Pd, valuta la corsa alla segreteria. Secondo quanto si apprende da fonti a lui vicine, una sua riflessione sarebbe in corso visto il pressing di alcuni amministratori locali dem per “valorizzare le esperienze maturate sul territorio”. “C’è l’esigenza di ripartire dalla cosiddetta provincia dove il Pd non pesca più – è il ragionamento – dando più spazio a chi governa e i voti ce li ha. Al congresso lui ci sarà”, viene riferito. E anche Paola De Micheli, secondo alcune voci, alla fine potrebbe decidere di correre.

“Ma davvero qualcuno è convinto che da una sconfitta di questa portata se ne esca con un congresso ordinario tutto incentrato sul cambio della leadership? Oppure rivendicando lo zero virgola in più in questo o quel territorio, ripetendo la litania contro le correnti nazionali, magari ben saldi alla guida di filiere locali? – si interroga Andrea Orlando, unica voce ‘dissonante’ – Questa sconfitta non si supera con la propaganda o la tattica perché essa interroga il ruolo e il destino del Pd. Serve una nuova Costituente”. Arturo Parisi ha un suggerimento diverso: “Più che a difendere i vecchi consensi, il Pd impari dalla Meloni come si fa a conquistarne di nuovi. E nel contempo costruisca una coalizione unita attorno ad un progetto per governare non solamente per prevalere per un momento sugli altri”.(LaPresse)

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