Gli indifferenti

Quello della “incomunicabilità” tra gli uomini è un tema che è già stato affrontato da scrittori e artisti del calibro di Albero Moravia e Pierpaolo Pasolini e prima ancora da Antonio Gramsci con il magistrale pamphlet politico “Odio gli indifferenti”. Un opera, quella scritta dal più prestigioso degli intellettuali comunisti italiani, che esortava ad essere cittadini e partigiani al tempo stesso, nel senso che chi si immergeva nelle problematiche sociali, vivendo la cittadinanza in modo attivo e partecipe, non poteva che coltivare un’idea propria e farsi , quindi, parte. Tuttavia con la scomparsa dei partiti democratici e partecipati, portatori di idee, valori e tradizioni storiche, gran parte di questa lezione è andata irrimediabilmente perduta per sopraggiunta estraneità del contesto. Man mano che i tempi sono cambiati, grazie all’ausilio della tecnica e degli strumenti di comunicazione capillarmente diffusi e massicciamente adoperati (leggi internet), è mutata anche l’essenza stessa del modo di interagire tra le persone. Un falso progresso a ben vedere, perché se è vero che è cresciuta la mole di notizie pervenute attraverso i social è parimenti vero che è diminuita la capacità di ragionamento e riflessione. Il tutto a vantaggio della velocità, la quantità ha sopravanzato la qualità dell’informazione, la connotazione epidermica ha surclassato l’approfondimento e l’analisi dei testo. Un paradosso che solo da qualche anno è stato posto all’analisi dei sociologi e dei politici e che conferma, per altri versi, le intuizioni degli scritti di Moravia e Pasolini, ancorché questi addebitassero l’isolamento esistenziale dell’uomo ai veleni insiti nella società capitalistica e consumistica. Un fenomeno che trova origine nell’edonismo inconsistente, dalla ricerca di un sempre maggior numero di beni non essenziali, che riducono le persone a confondere l’essenza stessa della vita con l’agire quotidiano e le mille vaghe lusinghe di un benessere indotto dalla pubblicità. Temi tanto cari, questi, anche agli esistenzialisti francesi come Sartre e Camus che, ancor prima, avevano colto il segno dei tempi. In particolare il secondo che, con il romanzo “Lo straniero” (L’Étranger), ci mostra un uomo divenuto completamento estraneo ai sentimenti, pervaso da un’atarassia che lo porta finanche ad uccidere senza provare alcun rimorso ed alcun disagio. Ci accorgiamo di questa condizione allorquando abbiamo l’opportunità di frequentare i social, di constatare quanta gente vuota ed incolta li adopera e come il condizionamento di massa possa deviare l’opinione pubblica e con essa il modo stesso di pensare e di vivere. Ci accorgiamo di quanta solitudine ci sia alla base del fatto di poter considerare “amici” dei semplici contatti elettronici che pervengono dalle richieste diffuse dalla rete telematica e di come il concetto stesso di amicizia si sia impoverito trasformandosi in un’episodica e disadorna interazione. Ci accorgiamo di quanto questa società rapida e disattenta ai problemi comuni, ai bisogni morali e materiali del prossimo, sia diventata cinica anche innanzi alle tragedie che ci giungono dal fiume interrotto delle notizie veicolate dalla rete e dall’identica, ripetitiva e scialba informazione delle tv commerciali. Ci accorgiamo di non aver più alcuna inclinazione a coltivare pensieri profondi ad attingere alla logica ed al bagaglio culturale sempre più scarso che la scuola offre ai contemporanei. Ci accorgiamo che valori antichi e radicati nella saggezza e nell’esperienza di vita, sono stati fraudolentemente sostituiti dal “politicamente corretto”, dalle teorie cosiddette “emancipate” che fanno giustizia della diversità fisiologica tra generi, costumi e linguaggio. Ci accorgiamo dell’imperturbabilità che ci fa negare la carità e la solidarietà immersi, come siamo, in un relativismo etico senza limiti, che spinge a ritenere che la libertà non debba coniugarsi con la responsabilità ed i doveri civici. Ci accorgiamo che siamo ormai indifferenti innanzi alle miserie umane, alle sofferenza di coloro che restano indietro, impassibili di fronte al fatto che, una volta sconfitta la “forzosa uguaglianza”, non bisognerebbe disperdere, invece, il dovere dell’equità. Insomma quando i giornali ci informano che a Como una donna è stata rinvenuta morta, seduta su di una sedia, in uno stato di avanzata decomposizione, che fa risalire il decesso addirittura a quasi due anni fa, non riusciamo a domandarci perché questo sia potuto accadere nell’era dello stato sociale e della vasta e costosa rete assistenziale socio sanitaria. Quale umanesimo ci attende se vivremo sempre più soli e come tali abbandonati e dimenticati? Siamo destinati a finire i nostri giorni senza un segno, un soccorso solidale, un atto di dedizione verso gli emarginati, i senza volto e i senza storia? La tecnologia scambiata per umano progresso è una grande scemenza, un illusorio aiuto che serve a far progredire le facoltà e le possibilità umane, non gli uomini e la loro dignità.

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