Il boss Michele Zagaria minaccia in aula il pm Maurizio Giordano

La rabbia del padrino del dei Casalesi: “Non permetto a nessuno, nel vero senso della parola - ha gridato l’ergastolano -, di mettere in mezzo mia nipote. A nessuno. Nè al signor Giordano, nè al maggiore Gargiulo"

Nella foto al centro il boss Michele Zagaria tra i pm Maurizio Giordano (a sinistra) e Catello Maresca (a destra)

Gli arresti e i pentimenti purtroppo non sono bastati. Almeno non ancora. Il clan dei Casalesi è vivo. Ferito, sì. Ma pericolosamente attivo. E lo dimostra la rabbia del suo padrino: una ferocia disarmante, mostrata ieri mattina senza filtri in udienza. Michele Zagaria è una fiera in gabbia che non trova pace. Accavallava le gambe, nervoso. In jeans e camicia di pelle si alzava, chiamava il suo avvocato e poi si risedeva. Capastorta è sull’orlo di una crisi di nervi. Mentre Fabio Gargiulo, maggiore della Dia, spiegava al tribunale il ‘sistema stipendi’ garantito dalla cosca a sorelle, cognate e fratelli del boss, il casapesennese sbracciava, si agitava, scuoteva la testa. Poi ha sbroccato.

La rabbia del boss

Lo ha fatto quando l’ufficiale dell’Arma, rispondendo alle domande del pm Maurizio Giordano, ha menzionato una nipote del capoclan. Secondo gli investigatori la giovane partecipando ai colloqui in carcere sarebbe stata in grado di raccogliere i segnali dati dallo zio alla famiglia.

Ascoltate quelle parole, Michele Zagaria ha chiesto di intervenire. Ottenuto il microfono ha dato il via all’ennesimo (tragico) show. Ha minacciato il pubblico ministero. “Non permetto a nessuno, nel vero senso della parola – ha gridato l’ergastolano -, di mettere in mezzo mia nipote. A nessuno. Nè al signor Giordano, né al maggiore. Le hanno arrestato pure la madre quando il padre era già in carcere”. Frasi pericolose perché pronunciate da un mafioso al vertice di una cosca che gradualmente si sta ripopolando. Frasi da condannare perché dirette ad un magistrato che con equilibrio e costanza cerca di sconfiggere un cancro sociale. Il giudice Francesco Chiaromonte, presidente del collegio, ha cercato di fermare l’invettiva del boss: “Zagaria, lei può dire quello che vuole, è un suo diritto, ma non durante l’escussione di un teste. Per le il signor Giordano è il dottor Giordano e fa il suo lavoro”. “Farà il suo lavoro – ha aggiunto il boss – ma con gli occhi bendati. La mia famiglia non c’entra con la criminalità. Su questa cosa la giustizia sta perdendo”.

Gli stipendi del clan

Stoppato il padrino, il maggiore Gargiulo ha ripreso il suo esame indicando le intercettazioni utili per mostrare il flusso di denaro del clan arrivato ai familiari. L’unico imputato nel processo dove è stato sentito l’ufficiale della Dia è Capastorta. L’ergastolano, assistito dall’avvocato Paolo Di Furia, secondo la Dda avrebbe continuato a guidare la cosca dalla cella riuscendo a garantire alle famiglie dei propri germani e a quelle degli altri camorristi “il sostentamento economico proveniente da ignote fonti illecite”. 

E tra il 2017 e il 2018 con i suoi interventi durante le udienze in cui è coinvolto,  proprio come ha fatto ieri mattina, avrebbe dato indicazione agli esponenti liberi del clan. L’inchiesta che ha trascinato a processo il boss ha già determinato la condanna in primo grado per Beatrice Zagaria (6 anni per camorra) e per le cognate Tiziana Piccolo, Francesca Linetti e Patrizia Martino (3 anni a testa per ricettazione).

I messaggi pericolosi del capoclan

Concluso l’esame del maggiore, il boss ha preso di nuovo la parola. Ha voluto chiarire la conversazione captata in carcere riguardante i suoi propositi ‘collaborativi’: “Io mi sono pentito, ma con Dio. Se qualcuno pensa che collabori è un imbecille”. E il messaggio è inquietante: resisto, sono ancora il capo. “Da 8 anni sono al 41 bis, ho fatto 49 mesi di isolamento e perché dovrei pentirmi. Che la mia vita sarebbe finita in carcere l’ho sempre saputo. L’ho deciso io da quando rubai la prima Cinquecento. Nessuno può decidere della mia vita, nè Giordano, nè Maresca, nè il tribunale. Solo Dio. Qualche volta mi faccio tenere sulla coscienza da qualcuno, perché non ce la faccio più”.

Ad ogni occasione utile il boss cerca di comunicare con l’esterno, di diffondere informazioni. Martedì una nuova indagine del pm Giordano, realizzata dalla Dia, ha portato al sequestro di due ville e un negozio riconducibili ai fratelli. La Dda sta facendo terra bruciata intorno al padrino. Ma da novembre è tornato in libertà Filippo Capaldo, il figlio di Beatrice e ‘delfino’ del boss. E da mesi ha lasciato il carcere, con l’obbligo di restare a San Marcellino,  pure Carmine Zagaria. Parole pericolose quelle di Capastorta proferite ieri anche nei confronti del pm Catello Maresca: “Venne ad interrogarmi con Giordano. Volevano sapere chi fosse Giuseppe Fontana, e risposi che a Casapesenna ce ne erano cento. Mi dissero che lo conoscevo come Pino e spiegai che allora era il cugino di mio cognato Franco. Confermai che a lui non feci estorsioni, ne ho fatte altre cento. Ricordo che Maresca una volta mi disse che dovevo finirla di dire che lui mi voleva far collaborare. Io questa cosa – ha detto il mafioso in videocollegamento – non l’ho mai messa in mezzo. E lui mi si alzò, mi disse che io da pentito non gli servivo. E così ho fatto”.

Il pm Maurizio Giordano, a conclusione del processo, ha chiesto al tribunale di Napoli Nord di trasmettere il verbale d’udienza in Procura. Il processo riprenderà a luglio per il deposito delle trascrizione dei colloqui in carcere e delle ambientali indicati da Gargiulo.

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