Il denaro del gruppo Zagaria investito da Filippo Capaldo nell’isola di Tenerife

Una scelta imprenditoriale e di vita che emerge nel provvedimento della Corte d’appello di Napoli che ha ritenuto proprio il 46enne, figlio di Beatrice Zagaria (donna che ha un enorme ascendente sul boss Capastorta), ancora socialmente pericoloso

CASAPESENNA – Quando Filippo Capaldo, ora 46enne, nipote del capoclan Michele Zagaria Capastorta, era ancora in carcere, erano stati i suoi fratelli, Francesco Mario e Nicola, a lasciare l’Agro aversano per investire a Tenerife. E da uomo libero, cioè dal 2021 (dopo aver scontato una lunga condanna per associazione mafiosa), anche lui, per la Dda il ‘delfino’ dello zio ergastolano, ha dirottato i propri interessi nell’isola spagnola trasferendosi lì per gestirli in prima persona.

Una scelta imprenditoriale e di vita che emerge nel provvedimento della Corte d’appello di Napoli che ha ritenuto proprio il 46enne, figlio di Beatrice Zagaria (donna che ha un enorme ascendente sul boss Capastorta), ancora socialmente pericoloso, ma non per la sua attuale intraneità alla cosca di Casapesenna. È pericoloso, ha chiarito la Corte, “per l’abitudine a vivere almeno in parte del provento di delitti” che ha commesso negli anni scorsi. Un’analisi tracciata dai giudici partenopei che erano stati chiamati a rivalutare la misura di prevenzione disposta dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere nel dicembre 2023 nei confronti del nipote del capoclan ergastolano Michele Zagaria.

Contro quel provvedimento con cui, per le sue connessioni con la criminalità organizzata, i giudici casertani avevano sottoposto Capaldo a 3 anni di obbligo di soggiorno, gli avvocati Giuseppe Stellato e Ferdinando Letizia avevano presentato ricorso e la Corte partenopea ha accolto in parte le loro richieste riqualificando il tipo di pericolosità che ancora caratterizzerebbe Capaldo.

Se l’Appello l’ha svincolata da una perdurante adesione alla consorteria mafiosa, è anche per la sentenza di primo grado emessa il 20 settembre scorso: il giudice del Tribunale di Napoli chiarì che Filippo Capaldo aveva diretto la cosca riconducibile allo zio Michele solo fino al giugno 2016.

Dopo tale data, il ‘delfino’ decise di smarcarsi dall’organizzazione dedicandosi ad usare i beni che si era procurato proprio grazie alle sue attività legate alla mafia “per sistemare gli affari propri e della propria famiglia”. E con questo obiettivo, mentre si trovava in carcere, aveva dato ordini (intercettati dalla Dia) ai propri familiari su come gestire i beni accumulati. Quindi, per la Corte d’appello, in epoca successiva al 2016, Capaldo aveva abbandonato l’attività camorristica preoccupandosi solo di mettere a frutto ciò che aveva guadagnato con le sue precedenti azioni illecite.

Insomma, può essere considerato non più attivo nella cosca, ma ha continuato e continuerebbe a vivere dei proventi guadagnati dalle sue condotte mafiose. Infatti, la Corte d’appello, esaminando il ricorso proposto dai difensori di Capaldo, ha messo nero su bianco che Filippo Capaldo “sin dal 2016 trae ordinario reddito dal riutilizzo anche a Tenerife dei capitali illeciti raggranellati durante la sua appartenenza alla cosca, dal momento che le attività commerciali del suo nucleo familiare sono state tutte finanziate dal 2016 al 2021”.

Circostanza che ha spinto i giudici a ritenere che Capaldo “vive abitualmente di proventi di attività delittuose, e in particolare della sua decennale attività di camorrista, che gli ha fruttato redditi effettivi ed assai rilevanti”.

Se il nipote del capoclan ha abbandonato la cosca non è per aver compreso, dicono i togati, “il disvalore di tale condotta”, ma solo per “finalizzare il decennio di appartenenza, utilizzando per il proprio interesse le ricchezze accumulate grazie alla camorra”.

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