Mala casertana, i tentacoli degli Zagaria su Santa Maria Capua Vetere

CASERTA – Era un fortino del gruppo Schiavone: per decenni i business criminali che hanno animato la città del Foro sono stati controllati da uomini di diretta espressione del capoclan Francesco Sandokan. Ma il graduale e costante indebolimento di questa cosca (determinato da arresti, confische e pentimenti) ha innescato una sua inevitabile regressione territoriale: è stata costretta a ritirare i propri tentacoli da molte aree sulle quali, storicamente, sbandierava il proprio dominio malavitoso. E tra le zone che ha dovuto abbandonare, appunto, c’è l’hinterland sammaritano. Risultato? Si sono creati nuovi spazi e opportunità criminali che sono stati sfruttati da altre compagini del clan dei Casalesi (più in salute rispetto a quella Schiavone), e anche da gang straniere (come quelle albanesi). Le recenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia e l’attività investigativa coordinata dall’Antimafia hanno evidenziato come negli ultimi anni si sia insinuata nel territorio sammaritano, approfittando della fase di stordimento che ancora sta vivendo l’ala schiavoniana, la cosca Zagaria. Come? Attraverso i Capaldo, nipoti del padrino Michele Zagaria Capastorta (sono i figli di Beatrice, sorella maggiore del boss ergastolano). In particolare, l’Antimafia ritiene che Filippo Capaldo, delfino di Capastorta, si sia preoccupato, nel 2021, di garantire denaro, a titolo di mantenimento, alla compagna di Ferdinando Del Gaudio, al tempo capo del gruppo locale dei Bellagiò (è diventato collaboratore di giustizia nel settembre di tre anni fa). Se un personaggio di vertice di una delle cosche dei Casalesi si preoccupa di garantire denaro alla famiglia di un altro mafioso, capo di una compagine satellite del clan, significa che l’organizzazione da lui rappresentata ormai ha onore e onori criminali nell’area dove è presente la formazione da lui supportata. La Dda nel tracciare il presunto interesse degli Zagaria sul sammaritano ha fornito anche un altro elemento: sostiene che Mario Francesco Capaldo, su ordine impartito dal fratello maggiore, Filippo (quando era detenuto), avrebbe preso parte a una spedizione punitiva nei confronti di uno spacciatore, inserito sempre nel gruppo Bellagiò. Per quale ragione questo pusher andava rimesso in riga? Stando a quello che emerge dalle intercettazioni telefoniche raccolte dagli investigatori, aveva avanzato proposte di ‘rivendicazione sindacali’ nel lavoro di smercio di narcotici ‘non dovute’. E chi interviene in questi casi? Chi opera per sedare disordini? Il gruppo malavitoso che ha il vero controllo del territorio dove si verifica la criticità.

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