Kabul come Danzica

Vincenzo D'Anna, già parlamentare

Antonio Gramsci ci ammoniva sul fatto che la storia insegna ma non trova scolari. E se è vero che un altro grande del passato, Marco Tullio Cicerone scriveva, nel “De Oratore”, che la storia è maestra di vita, occorre convenire che chiunque abbia responsabilità di governo dovrebbe tenere bene a mente questi insegnamenti. Tuttavia quasi sempre non è così e non sono pochi i governanti che si illudono di poterla scrivere, la storia, senza neanche conoscerla. Fu così, tragicamente, anche per Arthur Neville Chamberlain, primo ministro del Regno Unito tra il 1937 e il 1940, allorquando firmò un accordo con la Germania di Adolfo Hitler nella conferenza di Monaco del 1938. I tedeschi si erano appena annessi l’Austria e chiedevano di entrare in possesso di alcuni territori della Cecoslovacchia – i Sudeti – nei quali la maggioranza dei residenti era di lingua tedesca. Per evitare una guerra, sia la Francia che l’Inghilterra diedero il proprio assenso alle pretese del fuhrer. Fu quello un atto di debolezza e di accondiscendenza che diede ai nazisti il convincimento di potersi estendere anche nei confinanti territori polacchi fino a riprendersi il porto della “città libera” di Danzica. L’ignavia e la resa di Londra e Parigi si consumò al grido “Non siamo disposti a morire per Danzica”. Il resto lo fece l’innaturale accordo siglato tra la Germania nazista e l’Urss di Stalin (patto Ribbentrop-Molotov) che garantì ai sovietici le “mani libere” nel Baltico e mezza porzione di Polonia, ai tedeschi l’altra fetta di territorio polacco e le spalle sicure in caso di conflitto ad ovest. La guerra scoppiò inevitabilmente come la storia insegnava sulle abitudini dei dittatori e gli scopi perseguiti dei regimi totalitari. Pur in un contesto meno drammatico oggi potremmo dire: “Chi è disposto a morire per Kabul”? In quel paese la legge Coranica viene applicata alla lettera dai Talebani che hanno ridotto in schiavitù e miseria la popolazione. Le donne, sottoposte a privazioni e violenze, sono ritornate al medio evo. Scene strazianti di miseria vengono documentate dai reporter occidentali: bambini malnutriti, ragazze impuberi vendute dai genitori per essere trasformate in spose bambine. Un mercimonio abietto ancorché necessitato dalla miseria più nera. Dopo i clamori umanitari e le proteste politiche scaturite dall’abbandono dell’Afghanistan da parte delle truppe internazionali sotto l’egida delle Nazioni Unite, un velo di oblio è calato su una delle più grandi tragedie umanitaria del terzo millennio. Non una parola è stata pronunciata durante i lavori del G20 che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma, un vertice tutto avvitato intorno al tema della salvaguardia ambientale. Nulla da eccepire sull’argomento e sulla necessità che i grandi della Terra pongano un argine alla deriva ed al deterioramento del mondo terraqueo, dal quale dipende il nostro futuro. Ma per i diseredati, gli affamati, coloro che vivono sotto la sferza di codici aberranti, per i bambini venduti nemmeno una parola. Chi non ha una ragione per vivere dignitosamente non ne ha neanche per condividere l’idea che il mondo sia in pericolo per i danni ambientali. Se è vero che in un ambiente degradato e depauperato l’umanità rischia di estinguersi per tossicità ed infertilità causata dall’inquinamento, è altrettanto vero che si muore prima di fame e di stenti. Si vive ancor peggio succubi e proni in regimi crudeli, spogliati finanche della libertà di poter accudire i propri figli senza essere costretti a privarsene. La più grande delle ingiustizie è quella di fare parti eguali tra diseguali, ammoniva don Lorenzo Milani. Quindi parlare di energie alternative pulite e a basso costo, di economia circolare derivante dal pieno riciclaggio dei rifiuti nelle società opulente, è appunto fare parti eguali tra un umanità che muore di fame e di stenti ed un’altra che intende ulteriormente migliorare i propri livelli di vivibilità. Mentre per limitare gli impatti funesti derivanti da cicli produttivi esasperati dal profitto, occorrono decenni, nessuno si preoccupa dei milioni di persone che vivono come bestie. Fingere di non vedere perché si ha la pancia piena, i piedi al caldo ed una prospettiva di vita comoda è un esercizio molto semplice e quindi diffuso. Se ci affidiamo solo al governo degli interessi mondiali, quelli della produzione e della progressiva ricchezza, tutte le energie economiche saranno ad appannaggio di una parte di umanità: quella meno esposta alle insidie della vita. Non credo che i potenti della Terra debbano ignorare gli ultimi e gli emarginati se vogliono evitare che miliardi di persone si spostino verso il benessere in una transumanza biblica. Solo soccorrendo i deboli, azzerandone i debiti, destinando ad essi una parte delle ricchezze degli Stati, il mondo potrà trovare un nuovo umanesimo. Questo valga innanzitutto per chi ha fede in Dio e per quelli laici che credono nella libertà e nella dignità degli esseri umani. Kabul è la nuova Danzica, c’è qualcuno disposto a morire?

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