La lavatrice in fumo ‘sognata dal boss che ha messo in allerta gli investigatori

Gli Zagaria stanno spostando i loro interessi al confine con Giugliano

CASAPESENNA – Per la Dda di Napoli molti dei colloqui avuti negli ultimi anni da Michele Zagaria Capastorta con i familiari e i suoi interventi, in veste di imputato, fatti nei vari processi in cui è stato coinvolto avevano come scopo quello di dare messaggi agli affiliati del clan dei Casalesi, di dare loro garanzie sulla sua scelta di non collaborare con la giustizia. Una ricostruzione che aveva portato il pm Maurizio Giordano a chiedere ed ottenere un nuovo processo per il boss. Con quale accusa? Quella di aver continuato a guidare la cosca nonostante fosse ristretto (dal dicembre 2011) al 41 bis. Tesi che però non è stata ritenuta valida dal Tribunale di Napoli Nord che lo ha assolto: “La valenza probatoria dei singoli elementi offerti dal pm non ha superato il vaglio dibattimentale, prestandosi tali elementi a ricostruzioni alternative di cui si è dato conto. […] E laddove è emerso il carattere illogico del colloquio, a causa di un vuoto conoscitivo avente ad oggetto elementi imprescindibili, non si è ritenuta dimostrata la condotta contestata”. Parole messe nero su bianco dal giudice Marina Napoletano nelle  motivazioni con cui ha dichiarato Zagaria non colpevole. Verdetto a parte, il dibattimento ha fatto emergere conversazioni che, seppur non sono state in grado di convincere il Tribunale a condannarlo, lasciano tanti dubbi. Come il colloquio avuto, quando era ancora nel carcere di Opera, a Milano, con la sorella Gesualda, la cognata Tiziana Piccolo, moglie di Carmine Zagaria, e tre nipoti, tutti all’epoca minorenni. Il boss a loro raccontò di aver fatto un sogno strano. E la stranezza del sogno, che aveva come tema il guasto della lavatrice che va in fumo, al punto da essere scambiata dall’imputato per una bistecchiera, suscitò ilarità nei parenti che iniziarono ad interrogarsi sul suo significato. Per Gesualda era un sogno premonitore che riguardava la nipote Raffaella, che a breve avrebbe dovuto sostenere un esame.
In gergo criminale la lavatrice rappresenta una società o comunque un imprenditore che si occupa di ‘pulire’ i soldi sporchi. E per gli investigatori Zagaria, raccontando quel sogno, avrebbe voluto far conoscere il proprio timore in relazione a qualche businessman, a lui collegato, che stava mandando in fumo, magari perché braccato dagli inquirenti, l’attività di riciclaggio avviata. Una sorta di campanello d’allarme che i familiari avrebbero dovuto cogliere per fare, all’esterno, delle verifiche.
Nei prossimi giorni la Dda, lette le motivazioni del Tribunale di Napoli Nord, valuterà se presentare o meno ricorso in Appello contro il verdetto di assoluzione. Di certo, indipendentemente dal processo che potrebbe arrivare al secondo grado, sta ancora indagando sulla rete di imprenditori che hanno permesso e permettono agli Zagaria di continuare a guadagnare denaro. E questa attività investigativa, ancora in corso, sta facendo emergere lo spostamento degli interessi della famiglia Zagaria dalla zona centrale dell’Agro aversano a quella al confine con Giugliano in Campania.
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