La mattanza

Man mano che le notizie provenienti dai territori di Israele attaccati dai terroristi di Hamas, si fanno più circostanziate, quello che si para innanzi agli occhi del mondo è un crimine contro l’umanità più che contro lo Stato ebraico. Nei “kibbutz”, agglomerati rurali ove si realizza una comunità agricola sociale, si scoprono i cadaveri di uomini, donne e bambini. Corpi straziati oltre ogni immaginazione: trucidati, bruciati e mutilati anche se neonati. Un orrore che ricorda la violenza selvaggia ed inumana, alimentata dall’odio razziale e religioso, tipica della jihad islamica e della ferocia nazista dei lager. Un contesto che ci mostra una realtà che va ben oltre il raid terroristico, per rivendicare i diritti e la causa del popolo palestinese, compresso nel circoscritto ed angusto spazio della cosiddetta “striscia di Gaza”. Una landa desolata, quest’ultima, nella quale vivono poco meno di due milioni di persone che si dichiarano palestinesi ma che palestinesi non sono più da molto tempo. La storia ci ricorda che nel 1970, in Giordania, si verificò il famoso “Settembre Nero”, l’offensiva scatenata da re Husayn contro la guerriglia palestinese, rea di volerne rovesciare la monarchia. Insomma, in origine i palestinesi erano abitanti e sudditi di quel regno e le loro organizzazioni para militari, sempre quelle di matrice ideologica marxista e di credo religioso diverso (Husayn era di religione hascemita), miravano a rovesciare il trono di quel Paese più che a insediarsi sui territori ebraici. Ora, poiché la Giordania con gli altri paesi arabi – tra i quali Egitto, Siria e Libano – erano contrari alla creazione dello Stato di Israele nel 1948, dopo il protettorato britannico di quell’area geografica, pensarono bene di utilizzare quel popolo come arma contro il nemico sionista. Insomma, in sintesi: i palestinesi furono prima cacciati dalla loro patria naturale e poi utilizzati dagli Arabi come esuli contro Israeliani. Dopo la prima aggressione pan araba ad Israele nel 1956, respinta militarmente, ci fu l’altra guerra detta dei “sei giorni”, nel 1966 e poi quella del 1973, detta dello Yom Kippur, che gli israeliani vinsero ancora. In altre parole: fu l’occupazione delle terre palestinesi da parte dai Giordani e degli Arabi a creare un popolo nomade, e milioni di profughi erranti palestinesi, con il corollario delle organizzazioni terroristiche di questi ultimi. Questa parte della Storia, sapientemente cancellata dal mondo della sinistra extraparlamentare (e da chi la sostiene), ipocrita ed ideologicamente collusa, ha creato un movimento di opinione mendace e partigiana. Una palingenesi culturale, una menzogna artatamente costruita, da un lato il bieco popolo ebraico e dall’altro un popolo vessato ed oppresso, quello Palestinese. La verità è che Israele ha saputo e voluto essere un paese modello e moderno, uno Stato democratico, un popolo che da sempre si difende per esistere e che non ha alcuna colpa delle miserie di genti collocate a un tiro di schioppo dai suoi confini dai trattati internazionali (Oslo e Camp David) e che nulla vuol fare per auto determinarsi e prosperare. Eppure l’Occidente continua a finanziare i palestinesi come popolo endemicamente bisognoso ma, a quanto pare, quei fondi vengono diversamente utilizzati non per infrastrutture civili ma per armare quella popolazione contro il sionismo, inteso come ideologia capitalistica ed imperialistica dominante. Dietro la massiccia produzione di missili e la loro automazione certo c’è del danaro occidentale diversamente impiegato dall’uso civile. E non trascurerei la mano della Russia che attraverso l’Iran degli Ayatollah sostiene lo sforzo militare di Hamas. Una manovra che ha raggiunto lo scopo di essere un efficace diversivo per l’opinione pubblica, un’arma di distrazione di massa della guerra tra Mosca e Kiev. Inoltre ha restituito importanza ai Russi nel mercato delle risorse energetiche, non diversamente reperibili oggi in quelle aree di produzione. Ed ha ragione Giuliano Ferrara quando afferma che Israele è uno stato libero democratico, politicamente conflittuale al suo interno, che ha quindi rispetto per la vita delle persone, la loro prosperità economica e la tutela dei diritti costituzionali di cittadinanza. Non così per i guerriglieri di Hamas che agiscono da predoni e da barbari decapitando i bambini senza avere il vincolo di uno Stato democratico, una guida civile. Al contrario quella parvenza di Stato utilizza il proprio popolo per guerre e per attentati in nome di diritti e di una libertà che nessuno nega loro, tantomeno Israele. Uno Stato con un popolo eternamente accampato in campi profughi, assistito dalla comunità internazionale, che porge una mano tesa per ricevere mentre nell’altra imbraccia minaccioso il mitra, predicando violenza e vendetta. Checché se ne dica nei cortei degli studenti italiani, tardo emuli di quelli del lontano 1968, ignoranti quanto basta per farsi indottrinare e pilotati politicamente, siamo innanzi ad uno scontro di civiltà e di concezioni dello Stato e della libera e pacifica convivenza. Israele è anche questo in quel contesto di Satrapi e Sceicchi, che trasuda di violenza etnica e religiosa, di arretratezza culturale e politica. Ecco perché non possiamo non dirci tutti Israeliani. Nel Belpaese da decenni si tollera la mistificazione storica e politica della vicenda tra arabi ed israeliani, lo stereotipo mendace che ci propone le vittime palestinesi ed i carnefici israeliani, una falsificazione accreditata per varie convenienze ideologiche e politiche. Gli Ebrei scontano la maledizione di essere invidiati per atavici pregiudizi sul loro conto, che hanno scontato nei secoli con morte e persecuzioni e che continuano a subire. Ritenuti ingiustamente ricchi ed avari, malvagi e pericolosi nell’immaginario collettivo, sono invece un popolo tosto ed intelligente a cui guardare con ammirazione ed amicizia impedendo la crudele e barbara mattanza di tanti innocenti.

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