La tesi della Dda: Villano Cusaniello ‘messaggera’ di Fontana ‘o sceriffo

La donna avrebbe riferito le direttive del marito e boss all’imprenditore Raffaele Diana. La Procura di Potenza: l’uomo d’affari ha rappresentato la longa manus del mafioso nel business dei carburanti

Caterina Villano Cusaniello, Michele Fontana e Raffaele Diana

CASAPESENNA – Parte del mondo criminale di Michele Fontana ‘o sceriffo è ancora inesplorata. Parte degli affari che avrebbe gestito a distanza, dal carcere, investendo soldi e brand del suo clan, quello guidato da Michele Zagaria, è ancora sommersa. Ma la Dda di Potenza ha iniziato a scavare. E dragando il terreno che il detenuto avrebbe ‘scaricato’ per nascondere business, fiancheggiatori e prestanome, è arrivata a scoprire che i sui tentacoli, grazie al cugino Raffaele Diana mazzucco, seguendo il business dei carburanti, sarebbero arrivati fino alla Valle di Daino. A fare da ‘ponte’ tra Fontana, in cella al 41 bis, e Diana, ipotizza l’Antimafia, è stata sua moglie, Caterina Villano Cusaniello, 47enne di Castel Morrone.

Michele Zagaria

L’inchiesta potentina (che ha cominciato a dragare il terreno), coordinata dal procuratore distrettuale Francesco Curcio e dal sostituto Matteo Soave, lo scorso 12 aprile è riuscita a portare in prigione proprio Raffaele Diana, 55enne di S. Cipriano, i figli Vincenzo e Giuseppe, di 32 e 24 anni, ed altre 12 persone. Per 9 indagati il gip Ida Iura ha disposto i domiciliari e per 6 il divieto di dimora nel loro comune di residenza. Altri trentuno, invece, sono stati coinvolti nell’inchiesta a piede libero. Sommando si arriva a 60 inquisiti, e tra loro non figurano né Michele Fontana né la moglie Villano Cusaniello. Ma i nomi di boss e consorte, già accennati nella prima fase dell’attività investigativa, vengono ribaditi con più forza dalla Procura nell’appello presentato al Riesame contro l’ordinanza del gip. Il giudice Iura, infatti, pur ordinando l’arresto dei tre Diana e di altri 7 indagati, aveva escluso nei loro confronti l’aggravante mafiosa contestata. E la Procura, invece, vuole che venga riconosciuta.

L’accusa

I Diana, secondo la Dda, fino al 2019 hanno guidato un’organizzazione criminale specializzata nel commettere reati di fittizia intestazione, riciclaggio e reimpiego di capitali provenienti dal clan dei Casalesi. L’ipotizzata gang si sarebbe concentrata su un unico business: il commercio di ingenti quantitativi di gasolio agricolo che, beneficiando indebitamente delle agevolazioni fiscali, veniva venduto a società attive in settori che con la campagna nulla avevano a che fare. Sintetizzando, i Diana, calcando questo schema, avrebbero architettato una vera e propria frode in grado di muovere ogni anno circa 30 milioni di euro.

I soldi del clan dei Casalesi, stando alla tesi dell’Antimafia, erano stati investiti dai Diana dal 2015 al 2020 nella società Carburanti Petrullo (tra le protagoniste delle presunti frodi) consentendole di effettuare “plurimi acquisti di immobili e così di aumentare il proprio volume d’affari fino a raggiungere nel 2016 circa 16 milioni di euro”.

L’appello al Riesame

Il gip, ai fini cautelari, ha ritenuto valida la tesi della Dda sull’esistenza di un’organizzazione criminale targata Diana, sul riciclaggio e sul trasferimento fraudolento di beni. Ma il clan, ha chiarito Iura, non c’entra.
La Procura la pensa diversamente. E negli atti presentati al Tribunale della Libertà, i magistrati Curcio e Soave, ripercorrendo varie intercettazioni captate da carabinieri e finanzieri, hanno sostenuto, invece, che Raffale Diana abbia rappresentato la “longa manus di Fontana nella gestione dei traffici delittuosi nella parte meridionale della provincia di Salerno”.

La messaggera

Che alle spalle di mazzucco ci fosse ‘o sceriffo, secondo la Dda, emerge con evidenza quando stava per scatenarsi una vera e propria guerra con il gruppo dei ‘tarantini’, oggetto di un’inchiesta parallela condotta dalla Procura di Lecce. Al centro dello scontro c’era sempre la gestione del mercato ‘illecito’ dei carburanti. Alle ingerenze dei pugliesi nel mercato casertano, Diana, stando ad una conversazione intercettata, auspicava un imminente permesso di Fontana in modo tale che avvalendosi della forza intimidatrice del clan dei Casalesi avesse potuto intervenire per risolvere quei contrasti: “Devono spiegare quella mossa che fecero… di venire a Caserta. […] Perché poi la devono chiarire davanti a mio fratello-cugino”. E a farsi portavoce di quell’autorizzazione sarebbe dovuta essere proprio la Villano Cusaniello (non indagata ed innocente fino a prova contraria) che, seguendo quanto riferito dal collaboratore di giustizia Francesco Zagaria, proprio Raffaele Diana avrebbe accompagnato in diversi occasioni ai colloqui in prigione con ‘o sceriffo.

Mazzucco temeva, inoltre, ha ricostruito l’Antimafia, che se i tarantini avessero preso il sopravvento, Fontana se le la sarebbe presa direttamente con lui: “Questi (i tarantini, ndr.) vengono qua e vengono a mettere le parole in bocca a noi… vengono a casa mia a comandare! Ma chi ti… da dentro il carcere, ma quello (Fontana, ndr) mi uccide da dentro il carcere, quello mi fa uccidere! Quello mi fa uccidere a me da dentro il carcere!”.
Parola al Riesame di Potenza.

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