Libano, Amnesty: i familiari chiedono giustizia per le vittime dell’esplosione al porto di Beirut

"Le proteste dei familiari delle vittime dell’esplosione nel porto di Beirut ci ricordano duramente che non è stata ancora fatta giustizia"

Foto Delil Souleiman / AFP

Milano, 16 lug. (LaPresse) – “Le proteste dei familiari delle vittime dell’esplosione nel porto di Beirut ci ricordano duramente che non è stata ancora fatta giustizia”. Lo ha dichiarato Amnesty International, ricordando che le autorità libanesi non sono riuscite a individuare alcun responsabile per l’esplosione dell’agosto 2020, che ha causato 217 morti e lo sfollamento forzato di oltre 300mila persone in seguito ai gravi danni di decine di migliaia di abitazioni. Inoltre, le autorità ostruiscono a tutti gli effetti il corso della giustizia, invocando il diritto all’immunità per gli alti funzionari, afferma l’organizzazione. Il 13 luglio decine di manifestanti si sono uniti ai familiari di alcune delle vittime in un raduno all’esterno dell’abitazione del ministro degli Interni ad interim Mohammed Fehmi, che ha respinto la richiesta del primo giudice istruttore Tarek Bitar di sottoporre a indagini sul suo ruolo nella tragedia Abbas Ibrahim, uno dei massimi generali libanesi. Le forze di sicurezza hanno risposto con l’uso eccessivo della forza, ricorrendo al gas lacrimogeno e ai manganelli e causando molti feriti.

“I familiari che ieri chiedevano giustizia a Beirut, hanno portato bare bianche e foto dei loro cari defunti, prima di essere respinti con il gas lacrimogeno. Si è trattato di una dura dimostrazione del dolore che provano le famiglie dinanzi all’assenza di un’indagine imparziale ed efficace dal parte delle autorità”, ha dichiarato Lynn Maalouf, vicedirettrice di Amnesty International per il Medioriente e l’Africa del Nord. “La richiesta dei manifestanti è semplice: lasciate che la giustizia faccia il suo corso. Siamo al fianco di queste famiglie nel chiedere alle autorità libanesi di revocare immediatamente tutte le immunità concesse ai funzionari, indipendentemente dal loro ruolo o dalla propria posizione.

Il mancato rispetto di questa richiesta costituisce un ostacolo alla giustizia e viola i diritti di vittime e familiari alla libertà, alla giustizia e al risarcimento”, ha proseguito Lynn Maalouf. A luglio del 2021, il giudice istruttore Tarek Bitar ha chiesto l’autorizzazione per sottoporre a indagini sull’esplosione parlamentari e alti funzionari responsabili della sicurezza, tra cui il parlamentare ed ex ministro delle Finanze Ali Hasan Khalil, il parlamentare ed ex ministro dei Lavori pubblici Ghazi Zeaiter, il parlamentare ed ex ministro degli Interni Nouhad Machnouk, il capo della Direzione per la sicurezza generale – il maggiore generale Abbas Ibrahim – e il capo della Sicurezza di stato – il maggiore generale Tony Saliba.

Il 2 luglio, il ministro Fehmi ha dichiarato all’emittente televisiva Lbci che avrebbe dato al giudice Bitar l’autorizzazione a procedere nei confronti di Ibrahim, ma ha successivamente ribaltato la sua dichiarazione e respinto la richiesta del magistrato. Da allora, i familiari delle vittime organizzano manifestazioni di protesta ogni settimana a sostegno di un’indagine imparziale ed efficace. La Croce rossa libanese detto di aver inviato ieri notte quattro squadre alla residenza di Mohammed Fehmi per prestare cure sul posto ai manifestanti feriti e trasferire quelli più gravi negli ospedali. Tuttavia, non ha reso noto il numero totale dei feriti. Le Forze di sicurezza interna hanno dichiarato che 20 poliziotti sono rimasti feriti a causa della caduta di vetri o di aggressioni da parte dei manifestanti. “Amnesty International è accanto alle vittime dell’esplosione del porto di Beirut nella loro lotta per la giustizia. L’epoca del dopoguerra è stata segnata da una radicata impunità che ha pervaso ogni aspetto della vita di coloro che si trovano in Libano”, ha commentato Maalouf. “Un’indagine veramente imparziale e indipendente sull’esplosione del porto di Beirut è fondamentale per la costruzione di un futuro migliore per il Libano, in cui vengano protetti i diritti umani e sia difesa la giustizia”, ha concluso.

Il 4 agosto 2020, una delle più grandi esplosioni non nucleari della storia ha devastato il porto di Beirut e danneggiato più di metà della città. L’esplosione ha ucciso 217 persone e ne ha ferite 7mila, causando a 150 di esse una disabilità fisica acquisita. Lo scoppio ha causato anche incalcolabili sofferenze psicologiche e danneggiato 77mila appartamenti, costringendo allo sfollamento oltre 300mila persone. Almeno tre bambini tra i 2 e i 15 anni hanno perso la vita. A giugno, Amnesty International ha scritto al Consiglio Onu dei diritti umani con un gruppo di oltre 50 organizzazioni libanesi e internazionali per chiedere una missione di indagine internazionale, come ad esempio una missione di ricerca di un anno, sull’esplosione di Beirut, a causa della serie di vizi procedurali e sistemici che impedisce al Libano di rispettare i propri obblighi internazionali di offrire risarcimento alla vittime. Tra questi, figurano una chiara ingerenza politica, una mancanza di rispetto dei principi di equo processo e le violazioni di un giusto processo, così come l’immunità per gli alti funzionari politici.

Infatti, l’articolo 40 della costituzione libanese stabilisce che nessun parlamentare in carica “può essere perseguito o arrestato per un reato penale, senza l’autorizzazione della Camera, a meno che non venga colto in flagrante”. Tuttavia, ciò è in aperta contraddizione con gli obblighi del Libano previsti dal Protocollo Minnesota delle Nazioni unite del 2016 che ha lo scopo di tutelare il diritto alla vita e migliorare la giustizia, l’accertamento delle responsabilità e il diritto al rimedio, sottolinea Amnesty. Il Protocollo individua quali morti potenzialmente illegittime quelle che avvengono “in quei casi in cui lo stato potrebbe non essere riuscito ad adempiere ai propri obblighi di tutela della vita” e stabilisce inoltre che “l’impunità che deriva, ad esempio, da tempi di prescrizione ingiustificatamente brevi o amnistie generalizzate (impunità de jure), o da mancanza di azioni penali o da interferenze politiche (impunità de facto) non è compatibile con tale dovere”.

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