L’intervista. Federico Salvatore omaggia gli Squallor

L'artista: “Non temo più il giudizio del pubblico: il pretesto della volgarità è segno di libertà”

Federico Salvatore nella redazione di Cronache di Napoli e Cronache di Caserta
Federico Salvatore nella redazione di Cronache di Napoli e Cronache di Caserta

Comicità, delicatezza, denuncia, provocazione che contiene in sé una riflessione. Questo è Federico Salvatore, brillante penna della scena musicale napoletana, che torna con quello che è probabilmente il lavoro discografico più sincero della sua carriera. L’artista di via Santa Teresa degli Scalzi, con quarant’anni di carriera alle spalle, dedica un cd alla band alla quale sin da giovane si è sempre ispirato: gli Squallor.

Un tributo sentito e fortemente voluto dal cantante, che alla soglia dei sessant’anni decide di concedersi un capriccio rimasto chiuso nel cassetto per troppo tempo: cantare, reinterpretandoli, i cavalli di battaglia dell’irriverente ghost band napoletana.

L’album “Curnutone ca pe sta via mo te ne vaje…”, la cui uscita è prevista per il prossimo autunno, è anticipato da un inedito dal titolo “Cesso blues”, in uscita sulle piattaforme digitali domani. Sono dieci le canzoni degli Squallor riproposte da Salvatore, insieme a tre rivisitazioni di suoi brani passati e tre nuovi brani.

Questi i numeri del tuo cd prossimamente in uscita, una dedica d’amore agli Squallor: perché questo progetto arriva oggi?

Oggi mi sento tranquillo: so che pur rispolverando le irriverenti canzoni degli Squallor non rischio di passare per volgare, cosa che invece accadeva agli inizi della mia carriera. Fin quando non sono apparso in tv Federico Salvatore era considerato volgare. E’ stato grazie a Maurizio Costanzo che il mio personaggio è stato finalmente sdoganato: lui mi ha dato l’autorizzazione a dire in tv frasi come “chella zoccola cess e mammà”. Da lì conobbi il successo, ma ho sempre conservato dentro di me la necessità di mostrare il lato del “cantattore”, come amo definirmi.

Gli Squallor erano una ghost band a tutti gli effetti: non sono mai apparsi in pubblico e, inoltre, tutti li ascoltavano ma nessuno lo diceva.

Sono stati la colonna sonora della mia generazione: tutti avevamo le loro cassette, ma li ascoltavamo di nascosto. Ho avuto la fortuna di incontrarli nel ’95 e di frequentarli fino al ’98. Uno dei componenti della band, Giancarlo Bigazzi, ha prodotto tre dischi miei, vale a dire “Azz…”, “Il mago di Azz” e “Il coiote interrotto”. Purtroppo ci hanno lasciato quasi tutti: Daniele Pace, lo stesso Bigazzi e il grande Totò Savio. E’ rimasto solo Alfredo Cerruti. Ma c’è un motivo su tutti che mi ha spinto a realizzare questo progetto: nel ‘96 Totò mi invitò a prendere parte, in veste di cantante, a un eventuale ultimo progetto degli Squallor. All’epoca, però, ero impegnato con Sanremo, perciò Bigazzi, mio produttore, bocciò l’idea, e dovetti, ahimè, rifiutare. Mi costò moltissimo, perché poteva significare passare alla storia come l’ultimo componente degli Squallor. Oggi sono riuscito a portare alla luce questo desiderio: celebrare la band attraverso le canzoni di Totò Savio.

Un desiderio che realizzi con alle spalle una carriera di tutto rispetto: Sanremo, Festivalbar, Domenica In. Hai fatto tanta tv, ma anche molto teatro.

Sì, la tv impone al pubblico, mentre il teatro ti sceglie. Il brano “Azz…” mi ha dato grande visibilità, ma avevo sempre paura di rimanere ingabbiato nel doppio personaggio di “Federico” e “Salvatore”. Il teatro mi ha aiutato a far conoscere tutti i lati di me.

C’è un modello teatrale al quale ti sei ispirato di più?

Nel mio Dna ci sono Eduardo, Totò, Troisi. Ma il ricordo più bello della mia carriera artistica me l’ha lasciato Giorgio Gaber. Fu tra i primi a riconoscere il mio talento artistico, ed è dalla sua gratificazione che ho preso spunto per iniziare il ‘teatro-canzone’. Era il 1996, ero seduto in terza fila al Teatro Diana nel corso di un suo spettacolo. Alla fine dello show, Gaber mi intravide, strizzò l’occhio e mi indicò, scatenando l’applauso di tutto il teatro. A fine spettacolo il suo segretario mi disse “Giorgio ti aspetta in camerino”. Lo trovai con l’eterna sigaretta in bocca, e mi disse: “C’è chi vuole passare per la cassa, e chi per la storia. Tu sei nato per il teatro”. E fu allora che gli dissi: “Se tu hai composto “Io se fossi dio”, io, che sono più piccolo, scriverò “Se io fossi san Gennaro”. E così ho fatto.

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