Whirlpool, Di Maio e il carciofo dell’ipocrisia

Davvero Giggino ci vuole far credere che una multinazionale da miliardi di euro di fatturato si spaventa se le chiedono indietro 27 milioni di euro?

Severino Nappi

Mia nonna diceva sempre che il bello del carciofo sono le foglie. Perchè, man mano che le sfogli, il sapore cambia. Voi direte: e questo cosa c’entra con Gigino Di Maio e il pasticcio Whirlpool? C’entra eccome. Perché, esattamente come col carciofo di mia nonna, la storia dello stabilimento di via Argine è fatta di foglie dal sapore diverso. Solo che le foglie sono le tante balle che il nostro amico sta raccontando per provare a cavarsela. Provo a metterle in fila.

Davvero Giggino ci vuole far credere che una multinazionale da miliardi di euro di fatturato si spaventa se le chiedono indietro 27 milioni di euro? E, sopratutto, può mai pensare che qualcuno creda al fatto che i finanziamenti in questo caso si possono davvero revocare? Al tempo di internet, basta fare 2 ricerche e pure zia Maria scopre che i finanziamenti pubblici si possono revocare solo se il beneficiario ha violato le regole per la loro concessione. E, “naturalmente”, nel caso della Whirlpool nessuno aveva mai pensato di scrivere nel contratto che gli americani, per avere quei soldi, dovevano restare in Italia. E allora perché Giggino nostro lo dice lo stesso? Perché, da vero attore della tragica commedia della politica, spera che gli italiani – che alla sua ignoranza ormai hanno fatto l’abitudine (e quasi quasi lo guardano pure per questo con simpatia) – credano che il giovanotto stia agendo “di pancia” e, nello sdegno, si sia dimenticato che, appunto, la revoca – leggi alla mano – non si può fare.

Peccato, però, che la storiella della “revoca per finta” ce l’hanno già raccontata una volta, e non per una faccenda da poco. Vi ricordate la tragica storia del Ponte Morandi e la faccia feroce di Di Maio & company mentre sventolavano il decreto di revoca della concessione alla società Autostrade? Sicuramente, ve la ricordate. Come pure sapete che, invece, società Autostrade continua a gestire tutto. Forse invece non sapete che il Governo, non solo non ha mai revocato la concessione, ma ha anche provato a vendere un pezzo di Alitalia ai padroni di Autostrade, quei Benetton di cui Giggino diceva di voler indagare l’origine delle ricchezze. Insomma, questo carciofo, diversamente da quello di mia nonna, ha proprio un brutto sapore, che disgusta quando mangi l’ultima foglia. E si, perché ora si è scoperto che il superministro conosceva l’intenzione degli americani già ad aprile, ma ha taciuto. E si, perché, purtroppo, il voto alle europee vale più del posto di lavoro di 420 napoletani, anche al tempo dell’”uno vale uno”.

Ora, passato il tempo del voto, Giggino ha scelto semplicemente di scappare. E, a riferire al Parlamento del suo cinismo, ha preferito mandare un sottosegretario. Meglio così, in fondo. Io sono rispettoso delle Istituzioni. E vedere, di nuovo, il vicepremier, ministro del lavoro, ministro dello sviluppo, capo del principale partito in Parlamento abbassare di nuovo lo sguardo – come accaduto a Taranto qualche settimana fa di fronte al professore che lo accusava di aver speculato sui morti per tumore dell’Ilva – mi avrebbe sinceramente fatto male. W l’Italia.

Severino Nappi, presidente associazione Nord Sud

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