Musicista ucciso a Napoli, la mamma a Cronache: lotto per i vostri figli

Daniela Di Maggio ieri pomeriggio ha incontrato il direttore Maria Bertone nella redazione di Cronache di Napoli e Cronache di Caserta Ha raccontato la sua battaglia per la legalità dopo l’omicidio del figlio

NAPOLI – Un bicchiere d’acqua ogni cinque minuti. “Da quando è morto mio figlio, mi sale la bile”. Un caffè? “No, no. Solo una bottiglia d’acqua”. Non chiede altro. Entra come un toro nella redazione di Cronache di Napoli e Cronache di Caserta. Ore 16 e 40 di ieri. Daniela Di Maggio è una carica di etanolo. Apparenza. Dentro è a pezzi. Se ne accorgerebbe un buon medico. “Sembro forte, ma mi sento un fantasma. Mi hanno riportato Giògiò in un barattolino. Un gigante da un metro e 85. Vi pare giusto?”
Riavvolgiamo il nastro. La notte del 31 agosto. Giovanbattista Cutolo (nel riquadro) viene ucciso a colpi di pistola dopo una lite in piazza Municipio. Musicista, 24 anni. Poco dopo la polizia ferma un 17enne dei Quartieri Spagnoli. “Da quel momento la mia vita cambia. E comincia la battaglia per la legalità”. Parla senza ascoltare. Non ama le interruzioni. Il direttore, Maria Bertone, riesce a fare quattro domande. Io una. “La legge Gozzini del 1986 va cambiata – spiega – prevede la liberazione anticipata, con uno sconto di pena di 45 giorni ogni sei mesi di carcerazione. E altri benefit. Non è giusto avere riguardo per la vita dell’assassino di mio figlio. Lui non ne ha avuto per GioGiò”. Cosa succederà ora? “Sabato rivedo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per chiudere il cerchio”. Cosa chiederà? “Di riformare la legge Gozzini e di accelerare con il decreto Caivano”. Cosa c’entra Caivano? “La norma che porterà il nome di mio figlio è inserita nel decreto, per fare in fretta. Entro dicembre sarà legge. Forse prima”. Bisognerà vedere se i politici mantengano la promessa.

“Guardi, ho parlato con tutti. Mattarella, Ostellari, Meloni, Borrelli, Salvini, Nordio, Piantedosi, De Luca, Manfredi, Catello Maresca, Sergio Costa, Sangiuliano. Mi ha chiamato Francesco Boccia, ho incontrato Conte e mezzo Pd. Ho detto: adesso è una battaglia di civiltà giuridica per tutelare i vostri figli. Mi hanno risposto allo stesso modo”. Altro bicchiere d’acqua. “Serve abbassare l’età imputabile a 13 anni e punire i genitori. I minorenni di oggi non sono quelli di 30 anni fa, lo dicono studi scientifici che certificano una maturazione del cervello diversa. Oggi i ragazzini escono da casa con le pistole, non giocano più a battaglia navale. Ho portato i dossier a tutti i politici. Il sedicenne è colui che chiede il permesso ai genitori, è quello che va a letto dopo aver giocato coi videogiochi. Questo è il vero minorenne. Non il killer di mio figlio. Deve capire il dolore che ha provocato. Subito dopo è andato a giocare carte. Che c’è da recuperare in uno così?”.

Cosa vuole dire? “Perché l’assassino di GioGiò ora deve avere sussidi e aiuti in carcere? Mio figlio mi è tornato in un barattolo. Lui non va onorato? L’omicida era stato già messo alla prova. Ed era libero. Con Ostellari abbiamo ribadito la necessità di abolire la messa in prova per i crimini efferati”. Lunga pausa. Trattiene il respiro. E riprende a fatica: “Mio figlio è stato trucidato. Quella mattina è venuta la polizia a casa. Credevo fosse un incidente”. Abbassa lo sguardo e serra le mascelle: “Per arrotondare lavorava in un bar. Alle 4 aveva finito, ma era il compleanno di un suo amico. Gianmarco lo aveva chiamato. Pensavano di andare a piazza Bellini, ma la sfortuna: era chiuso il kebabbaro. A piazza Municipio GioGiò aveva solo messo un braccio sulla spalla dell’amico, per portarselo via, perché gli avevano spalmato la maionese in testa. Uno sgabello di ferro in testa, due colpi al torace e, una volta caduto, un altro alla schiena”.

Daniela Di Maggio si ferma di nuovo. “L’assassino può mai essere giudicato con la legge vigente per i minori? Ha confessato di fronte alle telecamere. Pochi anni di carcere e rischia pure di essere libero. O cambiamo le norme, oppure in futuro bisognerà uscire con il kalashnikov”. La chiamano mamma coraggio, nessuno ha pensato di darle un riconoscimento? “Forse me lo merito. Questa battaglia per la legalità andava fatta prima. E mio figlio sarebbe vivo. A Giorgia Meloni ho chiesto: ‘Se tua figlia aiutasse una ragazzina e uno di Tor Bella Monaca le sparasse due colpi al petto, tu cosa faresti? Le è scesa una lacrima”. La stessa che ora ha lei. “Noi purtroppo oggi premiamo ed esaltiamo i cattivi maestri. In tv e nella vita. Se qui ora ci fosse un Ciro Di Marzio o qualche altro personaggio di Gomorra, ci sarebbero orde di ragazzini a battergli le mani. E invece bisogna abolire il brand della camorra, dalle brutte canzoni, alla violenza, ai vestiti trash, alle fiction che esaltano il male. Faccio il mio lavoro (logopedista, ndr) da 33 anni e sono stata in tutti i quartieri difficili. Oggi se calpesti le scarpe di un adolescente, è capace che estrae la pistola e spara. Sì sentono impuniti”.

E ancora: “L’errore più grande per il killer di mio figlio è aver ucciso un ragazzo, che tutti amavano. Aiutava tutti. Suonava il corno alla perfezione. Era stato il suo maestro a spingerlo. Lui diceva che era uno strumento per pochi. Ma era bravo anche al pianoforte. Quel ragazzo ha ucciso un angelo”. Cosa chiede ai giudici, che lo processeranno? “Il massimo della pena è trenta anni meno un giorno. Ma tra attenuanti e benefici, chi sa. Ora è detenuto a Catanzaro. Ho chiesto con la nuova legge che chi commette crimini efferati, sia detenuto fuori regione. Lontano dagli affetti e dalle agevolazioni”. Intanto si moltiplicano le iniziative per GioGiò. “Il conservatorio di Vicenza gli ha dedicato una borsa di studio. I concerti in suo onore non si contano. Suonava alla nuova Orchestra Scarlatti. Gli amici stanno malissimo. Gli do forza. Vengono a casa a mangiare. La fidanzata trascorre i pomeriggi sul letto a dormire con la sua maglietta. Le ho detto: non devi fare così”.

Cosa le manca di GioGiò? “Non posso più sentire in casa mio figlio, che suona e fa scherzi. Ho una sua ciocca di capelli, ma non riesco ad aprire il cofanetto. Ci siamo tutti tatuati la firma di GioGiò. La sua fidanzata Lisa ha stampato il corno dietro al braccio”. Se potesse tornare indietro? “Tutte le sere gli ripetevo un mantra, che stesse attento. So quanto Napoli a volte sia pericolosa. Fai attenzione alle risse e alle rapine, dai tutto quello che hai, poi le cose si comprano. Solo quel giorno non l’ho fatto”. Si ferma di nuovo. Stavolta la voce è rotta: “Io non chiudevo occhio, fino a quando non sentivo le sue chiavi girare nella serratura. Quella notte, l’unica, ho dormito fino all’alba. La polizia mi ha svegliato al telefono: signora siamo sotto casa. Sono corsa nella stanza, ho visto il letto vuoto e l’ho chiamato al cellulare… Mi avevano già dato la brutta notizia. Immaginavo un incidente. Come si fa a collegare una pistola a mio figlio?”. Daniela ha conosciuto in questi mesi altre madri con lo stesso suo dolore. “Mi sono confrontata con la mamma di Francesco Pio Maimone. Due storie diverse. In quel caso il figlio era stato colpito da un proiettile vagante sul lungomare, per una scarpa sporca. Chi spara non conosce la sacralità della vita. Ma se non ha l’amore per il prossimo, se non ha abilità, cosa c’è da riabilitare?”.

Chi le dà la forza per andare avanti? “Negli ultimi anni ho fatto volontariato per aiutare le persone in difficoltà. Lui mi diceva sempre: grande mamma, vai avanti così. E’ come se oggi me lo continuasse a dire”. Rialza la testa. Sguardo dritto: “Non mi sono mai messa a parlare di violenza, in tutti questi giorni. Dobbiamo solo fare in modo che lo Stato faccia scontare tutta la pena a chi mi ha tolto un figlio”. S’accorge che la bottiglia d’acqua è finita. Saluta e torna a casa, sola. Ma piena dell’ammirazione di tutti.

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