Parma: denaro in cambio di falsa documentazione per i permessi di soggiorno, 26enne ai domiciliari

Un 26enne di origini pakistane è stato arrestato e posto ai domiciliari dalla polizia, dopo l'esecuzione dell'ordinanza di applicazione della misura cautelare disposta dal giudice per le indagini preliminari su richiesta della procura

PARMA – Un 26enne di origini pakistane è stato arrestato e posto ai domiciliari dalla polizia, dopo l’esecuzione dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare disposta dal giudice per le indagini preliminari su richiesta della procura. Lo ha fatto sapere la procura di Parma, che ha diffuso la notizia. Il 26enne è indagato per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso ideologico per induzione in errore ed è indiziato di aver prestato consulenza e ausilio a cittadini stranieri che avevano bisogno di ottenere il permesso di soggiorno, ma senza titoli legittimi, fornendo loro falsa documentazione, coadiuvandoli nella presentazione delle domande agli uffici competenti e facendosi pagare per le prestazioni con somme non inferiori ai 1.000 e 1.500 euro.

L’attività investigativa, condotta dalla sezione Reati contro la Pubblica amministrazione della squadra mobile, ha consentito di appurare che l’uomo stesse sfruttando le opportunità offerte dal Decreto legge 19 maggio 2020, che recava “misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza Covid-19”, il cosiddetto Decreto rilancio. Nella normativa, infatti, all’articolo 103, il legislatore aveva introdotto una specifica disciplina volta a favorire l’emersione dei rapporti di lavoro irregolare e la possibilità del rilascio di uno specifico titolo di soggiorno per i lavoratori stranieri “emersi”.

Secondo quanto ricostruito dalle forze dell’ordine, il 26enne pakistano avrebbe fatto ricorso proprio a questo per regolarizzare la posizione di stranieri privi di regolare permesso di soggiorno, pronti a pagare i contributi previdenziali per simulare la sussistenza di un rapporto di lavoro, il tutto dietro compenso da versare all’intermediario e al finto datore di lavoro. L’indagine sarebbe stata avviata da alcuni accertamenti operati sul conto di un cittadino straniero irregolare che, davanti al giudice di pace di Torni, chiamato a convalidare la sua espulsione con accompagnamento alla frontiera disposta dal prefetto di Parma, avrebbe riferito di aver presentato istanza di emersione in quanto badante “in nero” di un parmigiano, evitando l’espulsione dal territorio nazionale. Gli accertamenti hanno poi consentito, da un lato, di riscontrare che l’uomo avesse presentato domanda per il riconoscimento dello status di lavoratore “emerso”, ma, dall’altro, che il presunto lavoro di collaboratore domestico fosse finto.

Durante l’intera attività investigativa, la procura ha analizzato diversi rapporti di lavoro riconducibili alla normativa, ritenendone fittizi almeno 18, dopo alcuni controlli. Il 26enne pakistano è indagato per la gestione delle pratiche relative a 7 stranieri, mentre le altre, con lo stesso ruolo e le stesse modalità, sarebbero state gestite da una 35enne indiana, verso cui agisce un tribunale diverso da quello di Parma (cioè quello in cui si sarebbe consumato il primo e più grave reato tra quelli contestati). Secondo quanto ricostruito dalla procura della città emiliana, oltre ai due intermediari, nell’ambito del procedimento risulterebbero indagate 34 persone, tra datori di lavoro e lavoratori “beneficiari” della procedura di emersione. Ai datori di lavoro e agli intermediari sarebbero contestati i reati di favoreggiamento dell’immigrazione, falso in atto pubblico e per la 35enne anche il delitto di traffico di influenze illecite. Ai lavoratori sarebbero invece contestate le false dichiarazioni rese e la falsa documentazione prodotta nel corso della procedura di emersione dal lavoro irregolare.

“Ancora una volta, norme introdotte per finalità socialmente avanzate (non a caso denominato decreto rilancio) vengono, di fatto, piegate per soddisfare esigenze di singoli, mediante una ben architettata elusione dell’impianto normativo”, ha commentato la procura di Parma.

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