Pd al bivio: reduci o combattenti?

Foto Roberto Monaldo / LaPresse in foto Nicola Zingaretti

Se c’è qualcosa che proprio non manca (e per la verità non è mai mancato), oggi, tra i beni scarsi di cui dispone la politica in Italia, questo è senza alcun ombra di dubbio l’uso della dietrologia, quel comodo sistema di “analisi” che molti utilizzano atteggiandosi a storici, dopo aver chiaramente fallito nella previsione del futuro. Spesso tale modalità di valutazione critica dei fatti viene utilizzata per addossare responsabilità e colpe a coloro che ormai sono caduti in disgrazia. Specialisti in questo esercizio sono stati, da sempre, i comunisti che hanno puntualmente denunciato, a posteriori, le malefatte dei loro passati dirigenti per esortare il popolo ad aver fiducia nella nuova nomenclatura. La storia del Comunismo internazionale è piena di questi revisionismi che non hanno mai portato a nulla di buono, in termini di reale cambiamento, rimanendo, infatti, immutati la repressione di ogni anelito di libertà ed il perpetuarsi di un regime vessatorio dello Stato ai danni dei cittadini. Anche la storia del Comunismo italiano è fatta di dietrologie e scoperte postume, a partire dal modo quasi “benevolo” con il quale si “guardava”, nel 1956, all’invasione sovietica dell’Ungheria e nel 1968 a quella della Cecoslovacchia. Con la rivoluzione del movimento operaio di Solidarnosc in Polonia (1980), la caduta del muro di Berlino (1989) e il crollo dei regimi marxisti in Europa, il partito comunista italiano è stato costretto ad elaborare un’ulteriore revisione del proprio assetto, dando vita ad un primo “rinnovamento” della vecchia ideologia e degli strumenti di selezione della classe dirigente. Le trasformazioni e le scissioni che ne sono conseguite (con tanto di nascita di un partito della Rifondazione Comunista) sono state diverse come le sigle assunte, via via, dal nuovo partito: Pci, Pds, Ds e infine Partito democratico, la “creatura” di Veltroni, nata nel 2007 col discorso innovativo e di stampo liberale pronunciato dall’ex sindaco di Roma al Lingotto. E tuttavia anche il sogno veltroniano di trasformare gli eredi del vecchio “partitone rosso”, accompagnati da socialisti e reduci del cattolicesimo democratico (leggasi Sinistra Dc), in seguaci del liberalismo politico, è finito abbastanza in fretta, nonostante in tutto questo arco di tempo gli ex comunisti siano addirittura finiti al governo con Massimo D’Alema premier e Pierluigi Bersani ministro dell’Industria. In seguito non sono bastate neanche le vittorie elettorali ottenute con Romano Prodi leader del Centrosinistra unito contro il demonizzato Berlusconi, a mutare l’intima, vera natura degli ex comunisti. Nel Pd i combattenti per il liberalismo e la riforma dello Stato Leviatano, sono stati sempre guardati in cagnesco a cominciare da quel Nicola Rossi, economista liberale, che da parlamentare si dimise per disperazione, dichiarando incoercibili le resistenze al cambiamento in quel tipo di partito. La restaurazione ha sempre preso voce e corpo ed allo stesso Veltroni non è rimasto altro da fare che mollare tutto e tornare ad occuparsi di cinema. Il suo progetto di fondare un partito post ideologico, ispirato ai liberal anglosassoni, è appassito come un buon proposito non mantenuto. I reduci ed i nostalgici del partitone di sinistra si sono sempre ripresi il Pd ripristinando la normalizzazione, la lotta ai princìpi del libero mercato di concorrenza ed all’ammodernamento dello Stato e della Costituzione, anch’essa ormai carente e superata in molti suoi aspetti. La stessa sorte di Veltroni è toccata al giovane Napoleone di Rignano, quel Matteo Renzi che, come il grande Corso, ha avuto una parabola certo folgorante ma molto rapida che nel partito ha condotto alla restaurazione di Nicola Zingaretti. Restaurazione fatta, come sempre ai danni del perdente, ovvero di Renzi e dei Renziani. Ora sembra che gli onorevoli Rosato, ex capogruppo alla Camera (renziano) e Giachetti, ex radicale e di anima libertaria, stiano per radunare le loro truppe per dar vita ad una componente liberal democratica. Dentro o fuori il Pd, questo non è ancora dato saperlo. Se i due liberal sono veramente l’avanguardia del “Renzi-pensiero”, assisteremo ad un’altra traumatica scissione con la nascita di un soggetto politico di Centrosinistra che, seppure con grande ritardo, mirerà ad accorpare tutti i riformisti di ogni natura e genere. Riusciranno i nostri eroi nell’intento di dare a milioni di elettori un’area politica che li possa spingere ad andare a votare? Dipenderà forse solo da un fattore: se questi politici sono dei combattenti, oppure i soliti reduci del passato.

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