Pontida stracolma, Salvini alla folla: “Abbiate pazienza, non possono sfuggire per sempre al voto”

L'ex ministro degli Interni, con il suo intervento, chiude la storica manifestazione della Lega

Cielo grigio, a sprazzi il sole, lo slargo di Pontida stracolmo di gente. E Matteo Salvini a chiudere la manifestazione in camicia bianca, con sullo sfondo la mega-scritta ‘La forza di essere liberi’.

“Vediamo se qualche telegiornale riuscirà ancora a nascondere questo popolo. Se fate così mi commuovo e non comincio più”, ha detto l’ex ministro. Poi, come da prassi, si è recato all’albero della vita per ringraziare i militanti e gli attivisti, che non ci sono più, si sono impegnati nel progetto Lega.

Ha iniziato il suo discorso con una stoccata dura agli ex alleati: “Non cambierei per nulla al mondo la mia vita con quella di un Di Maio o di un Conte”. Ha predicato pazienza, perché “non possono scappare dal voto all’infinito”. A chi “minaccia, insulta, vuole imbavagliare un popolo e un’idea”, il leader del Carroccio dice di rispondere con il sorriso. “Questa – ha aggiunto indicando la folla – è l’Italia che chiede lavoro. E’ una delle ‘Pontida’ più belle d sempre: grazie a chi ha cominciato questo sogno e a chi state portando avanti. Gente dalla Lombardia alla Puglia, dal Veneto alla Calabria. L’Italia unita nel nome del lavoro”. E il popolo italiano, ha declinato in inglese, francese e tedesco, “non è schiavo di nessuno”.

Ha citato Oriana Fallaci, ringraziando la scrittrice per i suoi “insegnamenti di libertà”. Non ha tralasciato neppure i ‘processi’ che ha subito e che dovrà subire, come quello innescato dalla denuncia di Carola Rackete. “Ha rischiato di uccidere 5 militari, e va in giro come un’eroina della sinistra. Che tristezza”.

Se modificano il decreto sicurezza, ha gridato Salvini, “non fanno un torto a me o alla Lega, ma a 60 milioni di italiani e all’Africa, condannandola allo schiavismo”.

Sul palco è stato rispolverato l’animo liberista: no dal leader del Carroccio alla patrimoniale. “Sono soldi che avete risparmiato lavorando, siete liberi di farci quello che volete”. La soluzione è la solita lotta all’evasione, mai veramente attivata. E l’idea della flat tax, ora usciti dai piani del nuovo governo, non è morta per il partito dell’ex capo del Viminale. “I cittadini non mi chiedono il reddito di cittadinanza, ma lavoro, lavoro e lavoro. Perché lavoro è progresso, è dignità”.

Ha affrontato uno dei temi che ha portato alla rottura dell’intesa con i grillini: l’autonomia regionale. “C’è una filiera di ottime amministrazioni”, ma c’è chi rema contro.

Ha trovato anche il tempo per lo slogano pro-Europa, ma quella “vecchia, dei padri fondatori, non quella delle banche”.

Ad intermittenza ha animato la sua piazza, per tenerla sveglia e compatta nella ‘traversata nel deserto’ che verrà, a cui l’ha obbligata il Movimento 5 Stelle alleandosi con il Pd: “Preferisco rinunciare oggi a 7 ministeri per riprenderli fra qualche mese con gli interessi e in piena trasparenza”.

Non dimentica le radici, il passato, ringraziando “Umberto Bossi e Roberto Maroni che non si sono mai arresi”. Qualche “presunto amico che si è perso per strada? Meglio così, meglio perdere i poltronari”.

Ricalatosi in toto nell’animo destrorso, si è soffermato sul tema magistratura, citando le parole del magistrato Rosario Livatino, assassinato dalla mafia: i togati che fanno politica devono dimettersi.

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