Rieccoli

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Il procuratore capo della Repubblica di Palermo, Francesco Lo Voi, ha deciso di mandare a processo Matteo Salvini. Così almeno ha dichiarato, costui, alla stampa, in attesa della decisione del gip. La dichiarazione pubblica di un magistrato di peso, può considerarsi come un’indebita, indiretta, pressione sul giudice che dovrà, poi, valutare l’eventuale rinvio a giudizio del leader della Lega. Alla procura di Palermo sono degli specialisti nell’indagare per anni i politici, soprattutto quelli di una certa “area”. Processi che si trascinano per decenni usurando e neutralizzando l’indagato a colpi di scoop mediatici abilmente concertati tra taluni pubblici ministeri e ben noti giornali e rubriche televisive.

Sono, per capirci bene, gli eredi di quel rito instaurato da Giancarlo Caselli dopo l’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sull’onda dell’esecrazione e dello sdegno popolare. Sono ben noti,in tal senso, gli interminabili processi intentati contro Giulio Andreotti e Calogero Mannino, i più famosi di una lunghi schiera di politici inquisiti e poi assolti. L’ultimo “torchiato” eccellente del lotto è stato l’ex governatore della Giunta Regionale Totò Cuffaro che in un primo momento è stato dipinto come l’anello di congiunzione tra politica ed affari di mafia, salvo poi essere condannato per aver avvisato un collega medico che era indagato. Nel contempo ne uscì distrutto sia lui che il potere politico amministrativo che rappresentava per volontà democratica liberamente espressa.

In soldoni: operazione compiuta sotto il profilo del soddisfacimento del teorema che i voti di Cuffaro fossero apoditticamente inquinati dalla collusione clientelare coi poteri criminali. Contrariamente a quelli, per esempio, che segnarono addirittura il 75 per cento delle preferenze espresse in favore di Leoluca Orlando poi eletto sindaco di Palermo. Candeggiati e ripuliti evidentemente. Chissà perché, poi, quando sono emerse le soffiate che un giornalista fece a Luca Palamara, il collettore politico tra magistrati e Partito Democratico, rivelando allo stesso che era inquisito, nessuno ha mai aperto un fascicolo per indagare! Per decenni in quella procura fu dato credito al figlio di Vito Ciancimino, falsario e redattore di un documento spacciato per il “papello”, vale a dire il contratto tra i Corleonesi e lo Stato.

Insomma specialisti nella giustizia inquisitoria e spettacolare ed anche politica se ricordiamo che un collega di Lo Voi, Antonio Ingroia, fonderà addirittura un partito! Taciamo di Silvio Berlusconi e delle ipotetiche dichiarazioni dei mafiosi fratelli Graviano che non furono mai proferite in aula, con grande disappunto delle centinaia di giornalisti di tutto il mondo nel frattempo avvisati ed accorsi in Sicilia. Sempre e solo in nome dei due martiri Falcone e Borsellino, il tutto accompagnato con interviste e libri pubblicati dagli stessi protagonisti. Lo stesso, per la verità, accade in Calabria dove un altro “Torquemada”, Nicola Gratteri, procuratore capo, non bada a spese, ne arresta a centinaia e ne condanna… mezza dozzina! Costui, al termine di ogni operazione, convoca, come è ormai costumanza consolidata, una conferenza stampa insieme alle forze dell’ordine, durante la quale tratta di temi sociologici e politici, depositario non del potere già assoluto della sola  giurisdizione, ma del  mandato etico di moralizzare quei territori.

Insomma un altro giudice etico che non deve applicare la legge ma deve perseguire lo scopo di redimere l’umanità, con l’aiuto dei giornali e delle tv accorsi al suo invito. I teoremi dell’accusa diventano verità sacramentate ed i giornalisti ne traggono i titoloni per le prime pagine, segnando la sorte di decine di persone e di uomini pubblici. Di recente una cinquantina di arresti in Calabria ed uno speciale trasmesso dalla Rai, il servizio pubblico per intenderci, nel corso del quale, presenti solo i pubblici ministeri, si è fatto strame del principio di equità tra accusa e difesa con l’assenza dei difensori. In una Nazione ove non desta scalpore che taluni quotidiani siano diventati noti perché gestiscono le veline, gli stralci delle intercettazioni, degli interrogatori, dei segreti istruttori, il garantismo vale quattro soldi falsi.

Ma sono problemi secondari perché il Covid la fa da padrone ed innanzi alla continua ecatombe, figlia anche di ritardi ed errori terapeutici e diagnostici, non ci si bada e non ci si urta con il potere giudiziario che oggi pare, agli stolti, assopito e domato dallo scandalo Palamara. Ma c’è ancora qualche intralcio del quale sbarazzarsi. Dopo che Iv di Renzi (costretto a pagare le sue vicissitudini familiari, vere o false che siano), si è ridotta a cifre di consenso irrisorie, non restano che Meloni e Salvini. Con la Giorgia ci hanno provato, con Salvini andranno a fondo. E tenteranno di farne un “negriero” indegno ed impresentabile. Come i magistrati raccomandati per meriti politici ai vertici delle procure da Palamara.

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