Sea Watch, il capitano De Falco: “Avrei fatto come Carola, un comandante ha il dovere di salvare chi rischia la vita”

L'intervista di "Cronache" al senatore

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

La vita umana prima di tutto, in mare come sulla terraferma. Lo ha spiegato nel corso di un’intervista a ‘Cronache’, il senatore Gregorio De Falco, commentando la vicenda Sea Watch 3. L’ex comandante della Capitaneria di Porto in servizio a Livorno ai tempi dell’incidente della Costa Concordia analizza la vicenda puntando il dito contro il ministro Matteo Salvini. Carola Rackete, la capitana della nave Sea Watch 3, è indagata dalla procura di Agrigento per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione del codice della navigazione, per aver deciso di forzare il blocco e portare l’imbarcazione con a bordo 42 migranti al porto di Lampedusa. La nave è ancora a poche miglia nautiche dall’isola e oggi la 31enne tedesca verrà interrogata. Per De Falco la sua condotta è stata ineccepibile.

Senatore, che idea si è fatto della situazione della Sea Watch 3, bloccata a poche miglia da Lampedusa?

E’ una situazione molto fluida, diventa il punto di partenza di una giurisprudenza nuova. Bisognerà vedere come si comporterà la Procura di Agrigento, poiché il decreto sicurezza bis porta nuove sanzioni su fattispecie già previste. Il non aver osservato l’ordine dell’autorità marittima prevede, adesso, una sanzione aggiuntiva. E alla sanzione penale di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina se ne aggiunge anche una amministrativa. Bisognerà capire da questa confusione cosa verrà fuori. Io ritengo che amministrare, a tutti i livelli, comporti la necessità di mettere ordine e non di creare confusione.

Carola Rackete è indagata, che ne pensa?

C’è un ordine, un provvedimento amministrativo firmato dai ministri, che è assistito da una presunzione di legittimità. La iscrizione nel registro degli indagati è corretta, ma è altrettanto evidente lo stato di necessità in cui il comandante si è trovato a operare, con l’esigenza di salvare le persone. Avrà violato anche qualche altra norma, di sicuro, ad esempio quella attinente alla capacità di carico della sua nave. Lo stato di necessità, però, è assistito da una scriminante. Oggi in Italia abbiamo una norma legislativa di rango primario, temporanea, che contrasta con obblighi previsti da convenzioni internazionali sullo stato di necessità, quindi con norme prevalenti. La condotta del comandante , quindi, è sostanzialmente corretta. La scelta tra il lasciare affogare o rispettare le norme sarebbe assurda e l’ordinamento ne tiene conto. Si tratta di antinomie che sono state affrontate e che mettono al riparo dalle sanzioni.

Al suo posto cosa avrebbe fatto?

Quando c’è notizia di persone in pericolo di vita, il comandante di ogni nave, di ogni paese, al netto di ogni convenzione, deve intervenire. Il rispetto della vita è il primo passo per ogni convivenza sociale. In secondo luogo ci sono norme di rilevanza fondamentale che pongono questi obblighi. Avrei fatto quello che ha fatto lei, tenendo conto anche della circostanza che il semplice salvataggio non esaurisce tutti gli obblighi del comandante. L’operazione di salvataggio finisce quando le persone mettono i piedi per terra e sbarcano, come da riferimento anche di Virgilio nell’Eneide.

Il governo contesta il fatto che la nave abbia deciso di andare in Italia invece che in altri Paesi. E’ una considerazione legittima?

La Libia non è un Paese sicuro, lo dice anche il governo italiano, pur mantenendo alcuni accordi. La Tunisia idem, perché non ha sottoscritto le convenzioni sul diritto d’asilo. Rimangono, quindi, Malta e l’Italia. Il problema è che i nostri valenti politici non ricordano la geografia. E’ vero che Malta è più grande di Lampedusa, ma è più a nord. L’isola più vicina è quella siciliana. Il comandante di una nave che ha effettuato un soccorso, dopo aver scartato Libia e Tunisia, non può far altro che valutare la prossimità geografica. Per soluzioni diverse servono accordi tra Stati, come avvenuto con la Spagna in occasione del caso Aquarius. Il comandante non decide, si limita ad eseguire i precetti del diritto internazionale.

Salvini invoca sequestro della nave e arresto dell’equipaggio. E’ d’accordo?

Sembra avere un comportamento davvero sconnesso. Alcuni dei suoi invocano l’affondamento, altri la fucilazione. Dovremmo ricordarci di non vagheggiare, ma capisco che in questi giorni faccia molto caldo.

Dopo Aquarius, il caso Sea Watch 3. Se ne verrà fuori?

Così no, perché ogni caso è un po’ diverso dall’altro. Forse l’intento è questo, creare l’emergenza continua. Sembra ci sia una volontà determinata, lucida.

Una volontà di arrivare a cosa?

A nascondere la incapacità di fronteggiare anche dal punto di vista semplicemente operativo il problema dell’immigrazione. A Lampedusa, ieri, turisti e cittadini parlavano di decine di persone irregolari sbarcavano tranquillamente. Dei naufraghi della Sea Watch 3 abbiamo ormai qualsiasi dato. Quelli che entrano clandestinamente, invece, restano dei fantasmi. Questo è uno dei fallimenti più chiari del ‘ministro pigliatutto’. Gli passano i barchini sotto il naso, è quasi una beffa. C’è incapacità di gestire il fenomeno e si vorrebbero erigere dei muri. Ma i muri, che sono fatti di ipocrisie, cadono inesorabilmente.

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