CASAPESENNA – Nella rete di imprenditori in affari con Michele Zagaria c’è anche una donna toscana: a raccontarlo al pm Giulio Monferini della Dda di Firenze è stato il brianese Attilio Pellegrino, ex cassiere della cosca di Casapesenna. Le sue dichiarazioni sono state inserite nell’indagine che ha portato a processo Feliciano e Leonardo Piccolo, Alfredo De Rosa, Alberico e Oreste Tommaso Capaldo e Vincenzo Pellegrino (già assolto dall’accusa di mafia nel procedimento ‘Medea’), cognato di Filippo Capaldo (nipote di Zagaria) con l’accusa di associazione a delinquere messa in piedi, secondo la Procura fiorentina, per corrompere, riciclare soldi, commettere falsi e frodi tributarie.
Le dichiarazioni di Pellegrino
“Il nome non lo ricordo – ha chiarito il pentito riferendosi alla ‘socia’ del boss -, ma se vedo la foto, so riconoscerla”. La donna avrebbe fatto “direttamente riferimento a Zagaria”. E’ stata partner del capomafia, dice l’ex affiliato, nella costruzione di un complesso residenziale a Montecatini Terme.
Ostacolo operai a Montecatini
“C’era una canna fumaria dove doveva sorgere la struttura – ha ricordato Pellegrino – e non veniva buttata giù. […] Nel 2010, quando sono uscito dal carcere, Zagaria mi disse che c’era questo problema, che questa cooperativa di imprenditori, diciamo, non voleva finire il lavoro […] e a questa signora chiedevano circa altri due milioni di euro”. Il padrino di Casapesenna avrebbe ordinato a Pellegrino di andare a parlare direttamente con loro: “Mi disse Michele: ‘Digli che questa imprenditrice non è che la vedono donna… dici che alle spalle ci siamo noi’”. Pellegrino sarebbe stato messo in contatto, grazie al clan, con un operaio del posto. E quest’ultimo avrebbe poi accompagnato il brianese dalla donna. “Fece una riunione con tutti gli operai ai quali spiegai la situazione e loro – ha riferito il collaboratore – dissero che avrebbero finito il lavoro”.
L’indagine fiorentina
Riuscire ad identificare l’imprenditrice, accertare se abbia avuto realmente rapporti con il boss (e se ci sono stati definire di che tipo), è verosimilmente tra gli obiettivi che gli inquirenti da diversi anni stanno cercando di centrare. Con Zagaria in cella dal 2011 e l’ala militare del clan disarticolata, per dare il colpo di grazia alla mafia dell’Agro aversano bisogna colpire chi le ha permesso e le permette ancora di conservare la sua forza economica.
Al centro dell’inchiesta nella quale sono state inserite le dichiarazioni di Pellegrino sulla misteriosa donna c’è una presunta organizzazione criminale i cui componenti (I Piccolo, De Rosa e gli altri) avrebbero corrotto, riciclato soldi sporchi, commesso falsi e frodi tributarie con società a loro riconducibili con sede legale in Toscana. Alcune di queste ditte, dice la Dda, sono risultate aggiudicatarie di lavori o per chiamate diretta o all’esito di gare fittizie bandite dall’Asl 3, grazie alla complicità di Sebastiano Donnarummo, dirigente della Uoc Servizio gestione tecnica e Ottimizzazione del patrimonio territoriale (Donnarumma ha patteggiato). In realtà gli interventi che venivano assegnati a tali società per conto dell’Asl, afferma la Direzione distrettuale antimafia di Firenza, non venivano realmente eseguiti. E la ditta scelta, pur non concretizzando l’opera prevista, avrebbe ugualmente incassato i soldi.
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