Zagaria: “I Diana imprenditori con i soldi di Giovanni Garofalo”

“Un socio di fatto” di Filippo Capaldo e Giovanni Garofalo. E con loro “c’era un rapporto strettissimo, operavano in sintonia”. Ma il Riesame ha annullato l'aggravante mafiosa

Giuseppe Diana, Giovanni Garofalo e Francesco Zagaria
Giuseppe Diana, Giovanni Garofalo e Francesco Zagaria

CASAPESENNA – “Un socio di fatto” di Filippo Capaldo e Giovanni Garofalo. E con loro“c’era un rapporto strettissimo, operavano in sintonia”: sono le accuse che Ciccio ‘e Brezza, al secolo Francesco Zagaria, ha rivolto all’imprenditore Giuseppe Diana, alias Peppe ‘o biondo. Lo scorso aprile, Giulio Monferini, pm della Dda di Firenze, ha raggiunto il pentito in carcere per chiedergli cosa sapesse dell’uomo d’affari che, con il fratello Raffaele e l’amico Antonio Esposito, ha fatto fortuna in Toscana.

Secondo Zagaria, che dal 2019 collabora con la giustizia, Diana avrebbe dato il via ai suoi business grazie ai soldi del clan. “Peppe ‘o biondo – ha raccontato – è cugino di Garofalo . Ho avuto stretti contatti con questo Peppe anche perché io insieme a Franco Sparaco gestivamo le slot machine nella zona di S. Maria Capua Vetere e Peppe insieme a Gorofalo gestiva le slot nella zona di Casapesenna. A fine mese facevano i conti dei guadagni di queste attività ed io stesso consegnavo il denaro a Giovanni. E Giovanni – ha aggiunto Zagaria – aveva affidato a Giuseppe Diana la gestione delle sue attività imprenditoriali. I soldi che davo a Garofalo entravano nella cassa del clan che veniva curata pure da Peppe Diana a cui molte volte ho consegnato il denaro provento di reti su ordine di Garofalo. Parte dei quattrini che davo venivano usati da Giovanni per sostenere i carcerati e parte trattenuta personalmente da lui e mi disse che Diana gestiva i suoi soldi e faceva l’impresa insieme a suo fratello”.

Accuse pesanti ma, almeno per ora, poco circostanziate. Non è stato indicato alcun affare specifico: solo passaggi di denaro di cui sarebbe stato protagonista Zagaria. Le dichiarazioni di Ciccio ‘e Brezza sono confluite nell’indagine del Gico di Firenze, coordinate da Monferini, che hanno portato a processo Giuseppe e Raffaele Diana, Antonio Esposito, Guglielmo Di Mauro, 48enne di Macerata Campania, Raffaele Napoletano, commercialista 44enne di Casapesenna, Enrico ed Amedeo Laudante, di 39 e 40 anni, entrambi di Villa di Briano, con l’accusa di aver messo in piedi un’associazione a delinquere finalizzata a commettere frodi fiscali usando fatture false, riciclare denaro e intestare fittiziamente beni con l’intento di agevolare il clan dei Casalesi (Sparaco non è coinvolto nell’inchiestsa ed è innocente fino a prova contraria). Il Riesame di Firenze, però, ai fini cautelari, ha escluso l’aggravante mafiosa contestata ai Diana, ai Laudante e a Napoletano. Ad assisterli i legali Guido Diana, Graziano Sabato, Pasquale Verde, Gianfranco Carbone, Domenico Cesaro, Amalia Caliendo, Giuseppe stellato e Carlo De Stavola.

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