“Vitale terminale degli affari dei Casalesi”

"Vitale terminale degli affari Casalesi"

SPARANISE (gita) – “Un terminale degli affari criminali gestiti dal clan dei Casalesi sul territorio”: è così che la Procura e la Prefettura di Caserta, soprattutto attraverso le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Attilio Pellegrino e Roberto Vargas, hanno descritto l’imprenditore Albino Vitale. A riprendere tale definizione, fornita dall’Ufficio territoriale di governo e dagli inquirenti, è stata la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, presieduta dal giudice Massimo Urbano, che ha esaminato l’interdittiva antimafia disposta per le ditte  Villa La Quercia e Astecom, di cui sono soci i due figli di Albino Vitale. 

I provvedimenti della Prefettura sono stati analizzati dal Tribunale in occasione dell’istanza avanzata dagli imprenditori per l’applicazione del controllo giudiziario delle due società. In sostanza, i proprietari volevano che le loro attività venissero controllate da un delegato del Tribunale, convinti che dalla sua relazione sarebbe emerso la loro estraneità al contesto mafioso. Ma è una ‘concessione’ che presuppone che l’ipotizzata (contestata) agevolazione alla criminalità organizzata sia occasionale, elemento non ravvisato, però, dal Tribunale. Anzi, la documentazione che è stata portata sul tavolo riguardante i Vitale ha spinto addirittura i giudici a ritenere una possibile “compenetrazione” delle società nel contesto mafioso. Sono solo ipotesi, logicamente, dato che, per quanto ne sappiamo, non ci sono procedimenti penali in corso (anzi, quelli che erano stati avviati sono stati archiviati). Ma si tratta di ipotesi che, in materia di interdittiva antimafia, hanno un peso rilevante.

Nelle dichiarazioni rese dai pentiti, Albino Vitale viene descritto come una persona originaria di Villa di Briano e molto vicina a Giuseppe Papa (nella foto), boss scomparso nel 2018. Pellegrino ha riferito che, in un periodo di co-detenzione proprio con Papa, apprese da quest’ultimo che Vitale “si era inserito – hanno ripreso i giudici – nell’affare delle aste immobiliari, riuscendo ad aggiudicarsi alcuni immobili grazie alla spesa del nome dello stesso Papa, affermando che i beni erano di interesse del boss, così riuscendo ad allontanare eventuali altri interessati”.

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