Cucchi, sul caso spuntano 2 false relazioni dei carabinieri

Foto Vincenzo Livieri - LaPresse Nella foto: Ilaria Cucchi

Roma, 17 apr. (LaPresse) – L’Arma era informata, forse preoccupata per la vicenda dell’arresto e la successiva morte di Stefano Cucchi, tanto che, dopo il decesso e l’apertura dell’indagine, venne chiesta una relazione di quanto accaduto e il documento, datato 26 ottobre 2009 (Cucchi era morto il 22 ndr) venne fatto modificare il giorno stesso, forse perché alcuni dettagli potevano creare problemi.

Nella prima relazione si legge che Cucchi, la mattina dopo l’arresto “riferiva di avere dei dolori al costato e tremore dovuto al freddo e di non poter camminare” tanto da dover “essere aiutato” dai carabinieri a salire le scale per andare in tribunale dove era fissato il rito direttissimo.

Dalla seconda versione, spariscono i dolori al costato e il fatto che il giovane non riuscisse a camminare il giorno dopo l’arresto: Cucchi, vi si legge, “era dolorante alle ossa sia per la temperatura freddo/umida che per la rigidità della tavola del letto”.

Il documento viene redatto dal carabiniere Francesco Di Sano che chiamato a testimoniare al processo in corso a cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale, in merito a tali anomalie dichiara che gli fu chiesto di modificare la relazione dai superiori.

Anomalie anche in due relazioni firmate dal piantone di Tor Sapienza Gianluca Colicchio: in una prima Colicchio parla della tossicodipendenza di Cucchi, nella seconda il problema sparisce, e Colicchio davanti al giudice sostiene di aver redatto solo la prima versione.

 Sono cinque i carabinieri coinvolti nel nuovo processo sulla morte di Stefano Cucchi che si è aperto oggi presso la prima Corte d’Assise del tribunale di Roma: tre di loro Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco, rispondono di omicidio preterintenzionale. Tedesco risponde anche di falso nella compilazione del verbale di arresto di Cucchi e calunnia insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all’epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l’arresto. Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, è accusato di calunnia con gli altri due, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso.

I fatti risalgono a otto anni fa e le accuse di falsa testimonianza e calunnia si prescriveranno tra un anno.

Stefano Cucchi venne arrestato 15 ottobre del 2009 in via Lemonia, a Roma, a ridosso del parco degli Acquedotti, perché sorpreso con 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina.

Secondo l’accusa, il giovane fu colpito la notte del suo arresto, dai tre carabinieri imputati con “schiaffi, pugni e calci”.

Il pestaggio, per la procura di Roma, causò tra l’altro “una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale” provocando sul giovane “lesioni personali che sarebbero state guaribili in almeno 180 giorni e in parte con esiti permanenti, ma che nel caso in specie, unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte”, il 22 ottobre del 2009.

Nel procedimento sono parte civile, oltre ai familiari del giovane, il Comune di Roma, Cittadinanzattiva e gli agenti della penitenziaria accusati nella prima inchiesta sulla morte del giovane.

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