Napoli. Rapine per finanziare il clan. I fari della Dda sugli Iadonisi

NAPOLI – Rapine per finanziare il clan, così gli Iadonisi si riorganizzano dopo la ‘cacciata’ da Fuorigrotta. Il quartiere è ormai nelle mani dei Troncone, loro acerrimi rivali. Dopo gli scontri armati degli ultimi due anni, sorti in seguito all’avanzata del clan Esposito di Bagnoli (spinto dai Licciardi) gli Iadonisi hanno deciso di preparare i bagagli e lasciare il rione Lauro. Il sigillo sulla guerra di camorra nell’area flegrea è stato messo poco dopo la mezzanotte del primo giorno dell’anno, quando un commando armato ha assassinato Salvatore Capone, ritenuto affiliato proprio agli Iadonisi. Ora il clan originario ha deciso di ripiegare altrove. La Dda indaga su una nuova banda allestita da Enzo Iadonisi, nipote del boss ergastolano Francesco, fermato lo scorso 2 ottobre insieme a Giuseppe Ciotola, residente a Pianura, e trovato in possesso di droga, una pistola e cartucce. Ma, soprattutto, di smartphone nei quali gli investigatori hanno trovato elementi che lasciano pensare alla formazione di una nuova organizzazione criminale. I due alloggiavano da qualche mese in un hotel a Varcaturo. Dalle indagini lampo eseguite nei loro confronti è emerso che stavano progettando un omicidio per imporsi sulla scena criminale locale. Non solo: i due, stando all’accusa della Procura di Napoli Nord, avrebbero fatto parte di un’organizzazione dedita alle rapine di Rolex in tutto il territorio campano e anche oltre il confine regionale. Con i proventi dei raid, s’ipotizza, avrebbero tirato su un vero e proprio ‘esercito’ criminale. Le indagini sono iniziate in seguito a una rapina commessa a Lusciano, nel Casertano, da due persone in sella a uno scooter Kymco, nei confronti degli occupanti di un’auto colpiti da un colpo d’arma da fuoco esploso dal rapinatore per impossessarsi del Rolex. Avevano un piano espansionistico, Enzo Iadonisi e Giuseppe Ciotola, e per portarlo a termine avevano stabilito di uccidere probabilmente un esponente della mala giuglianese con l’obiettivo di destabilizzare il contesto criminale in cui operava la vittima individuata per proporsi come interlocutori in quel territorio. A confermare questa tesi, le intercettazioni dei carabinieri. La Dda partirà proprio da questi elementi.

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