CASAPESENNA – Voleva pentirsi. Michele Zagaria era pronto a collaborare con la giustizia. Il carcere duro, l’arresto del nipote prediletto (Filippo Capaldo) e la condanna di Elvira lo avevano fatto vacillare. A bloccarlo, però, secondo la Dia, è stata Beatrice Zagaria. Capastorta è debole, stanco, fiacco come il clan che cerca di guidare dal 41bis.
Il boss ‘debole’
Due anni fa, ai familiari, durante i colloqui nella prigione di Milano-Opera, comunicò il suo desiderio di farla finita. Ma il suicidio, come quello scimmiottato in video-collegamento con il tribunale di Napoli, non c’entrava nulla. Zagaria voleva farla finita con la mafia casertana. Rompere il patto d’omertà e ‘cantare’. Alla sorella e a Francesca Linetti, la cognata (moglie del fratello Pasquale Zagaria), ha confessato i suoi “dubbi circa l’amore che provava per i familiari”.
L’intervento di Beatrice
Non amarli era un segnale chiaro: sto per fare il ‘salto’. Tronco con il passato e consegno tutto ciò che so alla giustizia. A quei messaggi cifrati Beatrice rispondeva con frasi secche. Al fratello consigliava “di usare la testa”. La 63enne con l’indice della mano destra si toccava la tempia per invitarlo alla calma, perché una notizia simile, ha spiegato la Dia, “avrebbe causato quale immediata conseguenza l’interruzione dei flussi economici che alimentavano la cassa dell’organizzazione”. E a ricordare a Capastorta che un suo pentimento significava dire addio al denaro ci pensava sempre Beatrice, con i suoi gesti ‘mirati’, strofinando pollice e indice. “Se tu stai bene – lo rassicurava la donna – stiamo bene anche noi”.
La lettera inviata dal carcere
Gli incoraggiamenti e i moniti ricevuti dai familiari non lo avevano convinto. Zagaria stava male. Eppure collaborare era una decisione troppo delicata, troppo complicata da prendere in autonomia. Così prima di procedere, prima di chiamare i magistrati inviò una lettera proprio a Beatrice. La spedì il 04 giugno del 2016.
Il capomafia chiede il permesso alla sorella
“Ciao sorellona mia. E’ inutile che ci diciamo come stiamo. Ci siamo visti al colloquio e ti ho visto più esasperata di me”. Capastorta appariva confuso, combattuto. “Vorrei con tutto il cuore un consiglio da voi su cosa farmene della mia vita. Mi sento addolorato da tutto quello che vi stanno facendo”. L’ergastolano chiedeva il ‘permesso’. “Vorrei un consiglio per far sì che finisca questo stillicidio contro di voi. Vi accontenterei in qualsiasi maniera. Non lo posso scrivere, se no prendono qualche provvedimento, ma tu hai capito a cosa mi riferisco. Mi è scappato al colloquio – ha proseguito Zagaria – e ti giuro che lo farei senza nessun problema perché questa non è vita. E’ sopravvivere sia per me che per voi”. Sarebbe stato disposto a pentirsi per mettere fine alle inchieste sui suoi cari. “Lo so che questa lettera ti farà ancora più male, ma qualcosa dovevo scriverti, almeno per farti sapere il mio pensiero”.
“Non possiamo cambiare niente”
E il pensiero di Capastorta era quello di un uomo pronto a confessare. Ma nella famiglia Zagaria c’era e c’è un unico dio: è il denaro. In nome del potere e della ricchezza il capomafia di Casapesenna ha vessato imprenditori e ordinato omicidi. Per la sorella non si può tornare indietro. “Tanto tu il carcere ti stai facendo – gli dice la donna – e te lo devi fare fratello mio. Non possiamo cambiare niente”. “Tu adesso devi vivere per noi – aggiunge la cognata. – Non ti portano la sigarette mancante, pazienza. Quello che spetta non lo danno? Non fa niente!”.