A tutto gas

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

E’ ormai assodato che la vicenda del “caro bollette” sia diventata la questione centrale di questa campagna elettorale. L’aumento forsennato dei prezzi del gas è destinato ad incidere fortemente sui bilanci delle famiglie italiane oltre che su quelli delle imprese. Una crisi, quella energetica, che rischia di riportarci indietro dopo che la nostra economia aveva dato forti segnali di ripresa sia in termini di aumento del prodotto interno lordo sia per i livelli occupazionali. Tra l’altro, preoccupano non poco, in questa fase, anche l’aumento dell’inflazione e quello del costo del denaro.

Insomma: quello appena tratteggiato è un quadro a tinte fosche che si ripresenta dopo i danni catastrofici prodotti dalla pandemia che aveva riportato nel Belpaese gli indici economici a valori minimali. Le ricette per fronteggiare questi gravosi rincari non mancano ancorché siano condite di buone intenzioni e lusinghieri proponimenti da parte di tutte le forze politiche. In campagna elettorale, d’altronde, le belle parole si sprecano e l’indice di prodigalità si incrementa facilmente per poter carpire più consensi. Tuttavia la questione ha rilevanza più vasta e riguarda sostanzialmente l’atteggiamento che i paesi più industrializzati d’Europa vorranno assumere per affrontare questa tipologia di problema a cominciare dall’accettazione della proposta del governo italiano di porre un limite al prezzo del gas con, a corollario, l’incremento della tassazione dell’enorme surplus di utili che stanno realizzando le aziende del settore. Saranno poi, conseguentemente, i singoli Stati a definire un pacchetto di provvedimenti in grado di soccorrere i redditi delle famiglie maggiormente danneggiate dalla crisi.

Non vi è dubbio alcuno che, oltre alla diminuzione della disponibilità del gas russo l’aumento dei costi sia stato generato da fenomeni speculativi che non trovano alcuna ragione d’essere se non quella di aumentare i profitti delle aziende pubbliche o private del settore. A cominciare dal colosso statale italiano ENI che solo nel primo semestre di quest’anno ha incrementato gli utili del 700% (!!) con ricavi miliardari. Insomma non si riesce ancora a comprendere quale sia la causa di questa bolla speculativa e quali meccanismi si siano innescati oltre a quelli derivante dal calo delle forniture da parte di Mosca. Se è vero che abbiamo riserve per circa un anno, che in questo lasso di tempo saranno incrementate le forniture garantite all’Italia dagli altri paesi produttori, oltre a riattivare momentaneamente le centrali a carbone, non si spiegano aumenti così alti. Quello che appare più paradossale è che la prima a lucrare su questo stato di cose sia stata proprio l’azienda di Stato che ben avrebbe potuto operare una politica di contenimento dei prezzi rompendo la spirale speculativa.

Statalisti a tutta forza sulle piccole cose, non riusciamo a far prevalere l’interesse pubblico neanche sulla redditività e sui guadagni realizzati delle imprese statali. Contrariamente a quanto credono gli adoratori dello statalismo il libero mercato di concorrenza non è il luogo nel quale i lupi possono impunemente divorare gli agnelli. Il libero mercato necessità di regole per evitare i fenomeni speculativi che danneggiano la collettività. Arrendersi impotenti innanzi alla speculazione è ben strano in una nazione nella quale si predica la supremazia dello Stato sul privato, dei monopoli pubblici sulla libera iniziativa. Tutto questo discende sempre dal difetto di fondo che connota la mentalità della politica italiana di non saper scegliere coerentemente tra il regime liberale e quello socialista, in una commistione di visioni socio economiche che crea confusione e contraddizioni. Se l’energia è un ambito preservato al pubblico interesse (disponiamo di grandi imprese statali per mantenere pubblico questo comparto), dovremmo poter agire di conseguenza per limitare gli effetti speculativi entro il comparto stesso.

A sinistra si predica la vecchia litania di redistribuire la ricchezza tassando il surplus degli utili da convertire in aiuti alle famiglie. Ma se questi utili li produce anche lo Stato, che non riesce a fare politiche gestionali diverse dal mercato, la contraddizione appare evidente. Ci si aggiunga che stiamo pagando, e non da oggi, sia la demagogia anti nucleare sia la contemporanea dismissione delle trivelle per reperire il gas in Adriatico (lasciando ai nostri dirimpettai slavi di poterlo fare), ed ecco che la frittata è bella che fatta. Tuttavia queste sono scelte di sistema che solo un governo forte numericamente in Parlamento, qualificato e competente nella sua rappresentanza, è in grado di fare. In questo marasma di approssimazioni ci stiamo, verosimilmente, preparando a sostituire, alla guida del governo, un uomo come Mario Draghi con Giorgia Meloni!! Che dire? Filiamo a…tutto gas verso l’incognito.

*già parlamentare
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