Agus Morales: “Ogni salvataggio in mare oggi è un negoziato politico”

È l'asimmetria a (dis)orientare la lettura del reportage di Agus Morales, 'Non siamo rifugiati'

Foto LaPresse - Giovanni Pappalardo12-07-2018 Trapani, ItaliaCronacaMigranti, nave Diciotti entra nel porto di TrapaniNella foto: l'attracco della Nave Diciotti con 67 migranti a bordoPhoto LaPresse - Giovanni PappalardoJuly 12, 2018 Trapani, ItalyNewsDiciotti ship with 67 migrants arriving in Trapani

MILANO (Raffaella Caprinali – LaPresse) – Agus Morales: “Ogni salvataggio in mare oggi è un negoziato politico”. È l’asimmetria a (dis)orientare la lettura del reportage di Agus Morales, ‘Non siamo rifugiati’ (Einaudi). Lo sbilanciamento, va detto subito, non è un limite della narrazione, ma l’inevitabile conseguenza della messa a confronto tra il mondo di sopra e il mondo di sotto. Uno squilibrio che il giornalista spagnolo, ospite del Festivaletteratura di Mantova, frequenta da anni. Mentre l’Occidente ‘aspetta l’invasione’, chiude gli occhi e i suoi porti, Morales ha deciso di “andare a vedere”. Ha accettato il rischio che deriva (sempre) dal mescolarsi. Per capire, non semplicemente informarsi e informare.

Ecco chi è Agus Morales

Cronista dai fronti di guerra, per tre anni insieme a Medici senza Frontiere in Africa e Medioriente, era ad Abbottabad quando Bin Laden fu ucciso nel maggio del 2011. Tra il 2012 e il 2016 è entrato più volte in Siria, in mezzo altri viaggi: in Sud Sudan (“Qui in alcuni momenti ho davvero avuto paura”), Messico, Congo, Turchia, Giordania.

Le dichiarazioni di Morales

“Con questo libro ho voluto cambiare la prospettiva. Ho cercato di raccontare le storie di chi è vittima di violenza senza concentrami solo sugli eventi traumatici, perché queste persone meritano di più, meritano maggiore attenzione. Molte volte non ci sono riuscito e di questo faccio mea culpa”, spiega a LaPresse Morales, che si rimetterà presto in cammino – tra le prime tappe c’è il Pakistan – per continuare il dialogo e comprendere cosa spinge quel popolo, che da qui non ha un volto, ad accalcarsi su barconi ancora più precari delle singole esistenze. “Il non voler dare un’identità a qualcuno che consideriamo diverso da noi alimenta il timore e la diffidenza”, sottolinea ancora il reporter catalano, secondo cui non è ‘rifugiato’ la parola giusta per identificare chi cerca scampo dalla guerra o da altri tormenti.

“La maggior parte delle persone incontrate sono sono rifugiati”

“L’ho realizzato alla fine del libro. La maggior parte delle persone che ho incontrato – racconta – non sono rifugiati, sono proprio loro a rifiutare questa etichetta. Sono uomini e donne che hanno subito violenze e soprusi all’interno del loro Paese. Non tutti cercano asilo all’estero, anzi, nella gran parte dei casi sono ‘sfollati’ in casa loro. Il termine rifugiato oggi viene inteso sostanzialmente in due modi: è la rappresentazione di un nemico per i gruppi xenofobi, quasi fosse sinonimo di terrorista, oppure alimenta la compassione verso chi si ritiene vulnerabile e senza personalità”.

Nazionalismi e populismi non aiutano a trovare un compromesso

Nazionalismi e populismi non aiutano a trovare un compromesso. “Ormai ogni salvataggio in mare – dice Morales -, specialmente se coinvolge l’Italia, è una negoziazione politica. Quello che è successo con l’Aquarius è molto triste, la vicenda della Diciotti, poi, è ancora più grave perché si tratta di un’imbarcazione della marina militare italiana. Negli ultimi tre anni ci sono stati meno arrivi in Europa, ma la percezione della gente è opposta. E molti politici stanno aumentando il loro potere sulla sofferenza degli altri. In questo contesto, secondo me, Matteo Salvini rappresenta l’ultimo livello del processo di chiusura dei confini. Come altri politici, usa una retorica con cui si ottiene facilmente il consenso. Schierandosi contro l’immigrazione si incassano molti voti; i partiti che invece applicano una decente politica migratoria non hanno il supporto sperato, anche se in tanti pensano che i profughi debbano essere trattati con dignità”.

Ecco di cosa parla il libro di Morales

Il libro di Morales non ha intenti ecumenici, ma un obiettivo: ridare lo status di persone a chi non vive più in superficie e rischia di andare a fondo, come i 16mila morti degli ultimi quattro anni nel Mediterraneo. “Tra i rifugiati – scrive – ci sono ingegneri, criminali, madri, assassini, bambini abbandonati, vecchi guerriglieri, poeti, truffatori, poveri, ricchi, potenziali premi Nobel per la Pace, potenziali terroristi. Come del resto ce ne sono nel palazzo dei vicini. No, forse no. Fuggire da una guerra non ti trasforma in una persona migliore, ma sentirsi rifiutato ti può trasformare in qualcuno di molto peggio. Perché sono persone”.

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