Altro che i giovani: i partiti hanno perso il popolo dei 40enni

Il piccolo Mario era cresciuto a pane e democrazia cristiana. Il padre, per lui un punto di riferimento ‘solido’, era un fanatico della Dc e si comprava addirittura La Repubblica, che a quel tempo usciva solo fino alla domenica (il lunedì lasciava spazio alle testate sportive), e per il resto della settimana tifava per De Mita e i suoi allegri compari del Caf (Craxi, Andreotti e Forlani). E il piccolo Mario, talmente desiderava imitare il padre che non iniziò a simpatizzare per la Dc, ma addirittura si appassionò al Movimento Sociale Italiano. Il piccolo Mario era entusiasta: aveva trovato un modo per ‘superare a destra’ il padre anticomunista. E così non stette nella pelle quando, compiuti i diciotto anni, gli si presentò subito l’occasione di votare alle Politiche. Almirante, però, aveva già lasciato la guida del Msi nelle mani del delfino Fini e come se non bastasse era stato addirittura cambiato nome al partito. Ora si chiamava Alleanza Nazionale e della tormentata storia almirantiana conservava solo una piccola fiammella tricolore al centro del simbolo tondo e biancoblù. La musichetta che si erano inventati per accompagnare il tour del leader Fini era anche orecchiabile (“…èèè… l’Italia che lavoraaaa..”), ma il piatto forte dell’offerta elettorale era proprio l’eloquio del leader.

I ‘vecchi camerati’ sottolineavano che “Almirante era sempre Almirante”, ma il ‘nuovo’ Fini non era proprio niente male. Padrone del palco quando prendeva la parola. Lesto a non soffermare troppo lo sguardo sul pubblico quando vedeva alzarsi verso di lui una romanica mano tesa. Parlava talmente bene che anche in Parlamento non si presentava mai con il discorsetto già scritto sui fogli: andava a braccio. E andava forte. Quella prima volta che il piccolo Mario (ormai maggiorenne) andò a votare fu un trionfo: la sua destra, quella di cui era andato a seguire anche i comizi, aveva vinto. Sì, è vero, aveva vinto grazie all’alleanza con quel tizio imbrillantinato e in doppio petto, quell’imprenditore milanese… ma non fa nulla, l’importante era che la maggioranza degli italiani avesse scelto il centrodestra. I comunisti erano battuti. Il piccolo Mario aveva vinto insieme al suo papà. Avevano sconfitto i ‘nemici rossi’. E Mario era orgoglioso di averlo fatto con ancora più ardore del padre, votando ‘più forte’ della sua ‘algida’ democrazia cristiana (nel frattempo diventata Forza Italia). E arriviamo all’oggi: Mario ha smesso di correre dietro al papà, e ha smesso anche di votare a destra. Perché quel ‘gigante dell’oratoria’ di Fini ha smesso di parlare, si è schiantato contro il muro eretto dal bellimbusto imbrillantinato e pieno di soldi.

E con lui ha fatto schiantare tutta la destra che negli anni precedenti, insieme al piccolo Mario, aveva fatto risalire a vette di oltre il 12% dei consensi. Oggi Mario ha perso la fiducia. Quelli di sinistra continua a considerarli nemici ‘ideali’, ma non si fa più salire il sangue al cervello quando li sente pontificare sulle utopie. Anzi, addirittura, pensa che quelle utopie disegnino mondi davvero belli, ma pensa anche che per realizzare quei livelli di mondi e di civiltà evolute serva una politica di destra: è bello un mondo senza polizia, ma prima bisogna costruire un mondo senza criminali. E comunque è inutile insistere: la fiducia è persa, finite le illusioni. Buttiamola a ridere – pensa Mario -, votiamo i Cinque Stelle. Contro tutti… Ma poi anche qui presto scopre che non c’è niente da ridere… A forza di prendere i voti dei delusi, quei Cinque Stelle erano riusciti davvero ad andare al governo, ma all’italiana maniera: “non da soli” e quindi senza risultati. Che poi era la stessa identica sorte che era toccata all’altro sogno politico che pure Mario aveva visto (quasi) realizzarsi. E quindi è tornato il magone dell’insoddisfazione. Nemmeno le Sardine riescono a strappare un sorriso. E qui arriviamo a Michele. Il piccolo Michele aveva un papà ‘tosto’: fumava i sigari cubani e votava falce e martello… Non ve la faccio lunga: finisce che Michele oggi ha 40 anni e dopo aver votato D’Alema e Prodi ha accennato di nuovo un sorrisino solo quando ha visto spuntare le nuove bandierine di Potere al Popolo, ma poi ha smesso subito di divertirsi: troppa retorica campata in aria. E non gli piacciono nemmeno le Sardine. Avviso ai politici naviganti: occhio ai 40enni; milioni di Mario e Michele non vi credono più.

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