Brasile, l’attesa degli indios per la sentenza della Corte sulle terre indigene

Continua a Brasilia la protesta dei popoli indigeni. Una mobilitazione di circa 5.000 partecipanti, che riunisce i leader indios di tutte le regioni del Brasile, che aspettano la sentenza della Corte Suprema federale sul futuro delle terre indigene protette nel Paese.

(AP Photo/Silvia Izquierdo)

ROMA – Continua a Brasilia la protesta dei popoli indigeni. Una mobilitazione di circa 5.000 partecipanti, che riunisce i leader indios di tutte le regioni del Brasile, che aspettano la sentenza della Corte Suprema federale sul futuro delle terre indigene protette nel Paese. Intanto ieri la procura federale brasiliana ha ritenuto incostituzionale il progetto di legge sulla demarcazione delle terre dei popoli indigeni. La sentenza è destinata a fare scuola e ad avere ripercussioni generali perché la decisione sarà valida per altri casi simili e avrà dunque un impatto su tutti i Popoli Indigeni del Brasile e le loro terre. Se approvato dai giudici della Suprema Corte Federale del Brasile – sottolinea Greenpeace – il principio del marco temporal danneggerà enormemente gli sforzi per demarcare e proteggere le terre indigene e renderà la vita e l’autodeterminazione culturale dei popoli indigeni ancora più difficile. Questo principio – sottolinea l’associazione ambientalista – che collega le terre indigene all’emanazione della Costituzione del 1988 legalizza de facto le violenze commesse per decenni contro i popoli indigeni, non considera momenti storici come la dittatura militare del Brasile e non tiene conto del fatto che fino al 1988 gli indios non avevano autonomia per difendere in tribunale i loro diritti. Gli indigeni non sono a Brasilia solo per attendere la sentenza ma intendono denunciare e combattere anche le principali proposte legislative che minacciano l’integrità delle foreste e minano i propri diritti, quelli dei quilombola (discendenti degli schiavi afro-brasiliani fuggiti dalle piantagioni) e delle comunità tradizionali.

Tra le norme contestate ci sono due progetti di legge: quello che consente le estrazioni minerarie all’interno di terre indigene protette e quello sulla riduzione della tutela delle persone indigene che vivono in isolamento volontario da persone non indigene. Quest’ultimo riguarda, ad oggi, 115 persone che hanno scelto di vivere isolate e sarebbero immensamente danneggiate da questa norma. Nel loro caso, tra l’altro, non è nemmeno possibile sapere se occupassero la terra in cui vivono già nel 1988: sono cacciatori e raccoglitori nomadi che hanno abitato aree forestali diverse nel corso degli anni. Molte delle loro terre non saranno nemmeno riconosciute.

Il principio del marco temporal in definitiva – prosegue Greenpeace – restringe i diritti costituzionali delle popolazioni indigene ed è invece a favore degli interessi dei cosiddetti Ruralists, la lobby politica, interna ed esterna al Parlamento brasiliano, connessa al settore dell’agricoltura industriale e a coloro che sono interessati allo sfruttamento predatorio delle terre indigene per il disboscamento o l’estrazione mineraria illegali.

“Il ritardo nella demarcazione delle terre indigene è molto preoccupante”, ha affermato uno dei leader di Xokleng, Brasílio Priprá. “Più passa il tempo, più è difficile delimitare la terra in Brasile. Le popolazioni indigene devono veder riconosciuti i loro diritti tradizionali. E vorremmo – aggiunge – che fossero considerate le ripercussioni generali, che si agisse in favore dei diritti, che si smettesse di parlare di tempi sulle occupazioni delle terre”.

Carolina Marçal, portavoce della campagna per l’Amazzonia di Greenpeace, ha ribadito che la Corte Suprema Federale deve riconoscere il carattere originario dei diritti degli indigeni, e il fatto che essi vivevano in queste terre ben prima del 1500 e ben prima dell’Indipendenza del Brasile nel 1822. “Rigettando il principio del marco temporal i giudici metteranno fine a centinaia di conflitti per la terra e promuoveranno il riconoscimento e la demarcazione dei territori”, ha affermato Marçal.

“Se ciò non accadrà, le violazioni avvenute in passato non solo saranno legalizzate, ma potremo vedere in futuro diverse sentenze di annullamento delle demarcazioni, l’emergere di conflitti nelle regioni pacificate e l’incoraggiamento di un nuovo processo di invasione di terre delimitate. Non possiamo – conclude – permettere che ciò accada”.

LaPresse

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