Centrodestra, Draghi stoppa Salvini: “Federazione resta fuori da palazzo Chigi”. Salta il vertice sulle comunali

Foto Filippo Attili / Palazzo Chigi / LaPresse in foto il Presidente del Consiglio Mario Draghi

ROMA – La Federazione del centrodestra non entra a palazzo Chigi.  Quel progetto caduto come un fulmine a ciel sereno sul coalizione – già proposto in passato, che ora per il segretario deve diventare una realtà – non viene posto sul tavolo di Mario Draghi, benchè lo stesso segretario lo avesse annunciato ieri. Un cambio di rotta, valutata l’inopportunità della sede e la inapropriatezza di rivolgersi a un premier non chiamato a governare i partiti, ma il Paese senza indossare maglie politiche.

La nota fornita da palazzo Chigi a fine incontro è, infatti, chiarissima e segna il perimetro dei temi che sono stati consentiti. Con il leader leghista il faccia a faccia “è stato cordiale” e “si è discusso della situazione economica del Paese, che è in ripresa, e delle riforme”. Nulla di più. Lo stesso segretario taglia corto con i cronisti in pressing: “Col presidente del Consiglio parlo di Italia, non di partiti. Della federazione ne parlo adesso con i dirigenti della Lega”.

Salvini poi rimarca, avvertendo gli alleati che in queste ore stanno ponendo tutta una serie di distinguo: “Il Covid ci insegna che uniti si vince. Gli italiani uniti hanno vinto questa battaglia, e io penso che anche la politica abbia il dovere di unirsi per perdere meno tempo ed essere più concreta, veloce, efficiente, sia in Italia che in Europa. E quindi vado avanti con con questa proposta”.

Il leader del Carroccio non manca di tessere le lodi all’esecutivo, “è andata molto bene, abbiamo perso di vista l’orologio. Un’ora e mezzo di confronto, sostanziale condivisione e soddisfazione per tutto quello che si è fatto in questi tre mesi e per quello che si farà. Stiamo dando agli italiani ottimo risultati”. E sul blocco dei licenziamenti non ha dubbi: “Assoluta sintonia” con il premier.  

La Federazione, ancora in fase embrionale, deve restare insomma tra le mura del Parlamento, è questo il messaggio fatto recapitare a Salvini prima dell’incontro con Draghi. Il leader tuttavia accelera, non curante dei maldipancia nati in queste ore anche nel Carroccio. Berlusconi, invece, riflette. L’idea è interessante ma senza fretta soprattutto l’ipotesi dei gruppi unici a Camera e Senato non convince. Per il Cav il modello deve essere quello del vecchio Pdl, una nuova Casa delle libertà che sappia costruire mantenendo le diverse entità senza annessioni o fusioni a freddo.

Poi ci sarebbero da risolvere diversi problemi tecnici ed economici. I regolamenti delle Camere vanno studiati bene, un solo gruppo significherebbe metà dei soldi ricevuti dai palazzi. In ballo anche le nomine i segretari d’aula, membri degli uffici di presidenza e quant’altro tutto definito per quote partitiche. Insomma la fretta non c’è, l’operazione va vagliata nei minimi dettagli, magari mantenendo due strutture distinte sotto un grande ‘insieme’.

La pensa così anche Mara Carfagna che, tra i dissidenti, è quella più agguerrita: “Un’operazione politica come questa non si fa con un blitz: proprio perché destinata a cambiare i connotati del centrodestra italiano non si può fare con un tweet, non si può fare con un’intervista a ‘Il Giornale'”. E poi l’affondo a Salvini: “Chi si candida ad essere federatore, non deve spaccare. Non vorrei, quindi, che questa fosse una operazione per trasformare Forza Italia in Forza Lega”, scandisce.

Intanto niente vertice del centrodestra sui candidati alle prossime comunali. La riunione tra i leader – Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani – resta congelata e non viene convocata come precedentemente era stato annunciato per domani. Il dossier è ancora aperto con il ballottaggio tra Enrico Michetti e Simonetta Matone per Roma, e una serie di candidati – ancora non testati dal leader della Lega – per Milano. Per la città lombarda non si è fatta ancora la sintesi – viene spiegato – mentre per la Capitale il vero problema sembra la bandiera con cui correrà il candidato.

Meloni insiste con Michetti, “dal punto di vista della gestione dell’amministrazione non ha pari”, ma non ha alcuna intenzione di intestarsi il candidato, visto che si tratta di personalità civiche che non dovrebbero avere connotazioni partitiche. La pensa allo stesso modo Salvini, tuttavia, sulle prossime amministrative la competizione tra i due leader in vista anche di un voto nazionale passa anche dal voto dei sindaci. E lo stallo sembra insormontabile.

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