Clan dei Casalesi e business dei cartelloni. Iavarazzo: “Mazzette all’Anas”

La Procura di Napoli (Foto Fabio Sasso - LaPresse)

CASAL DI PRINCIPE – Un affare, quello dei cartelloni pubblicitari nel casertano, nato con la benedizione del clan dei Casalesi. Ma quando i padrini sono finiti tutti in cella avrebbe continuato a camminare (in autonomia) sulle gambe di Mario Iavarazzo, dal 2020 collaboratore di giustizia, e del suo presunto socio, Armando Aprile di San Marcellino: a raccontarlo ai pm Fabrizio Vanorio e Claudio Orazio Onorati è stato proprio Iavarazzo.

Mario Iavarazzo

La mafia, almeno in prima battuta, sarebbe stata fondamentale per dare forza all’attività, consentendo a determinate società, che orbitavano intorno a personaggi vicini alle cosche, di agire quasi in regime di monopoli. Ma da sola, ha chiarito Iavarazzo, non sarebbe stata in grado di garantire al business la continuità che ha avuto. Servivano le mazzette. Per piazzare i cartelloni su alcune strade, stando a quanto riferito dal collaboratore di giustizia, era necessario sborsare soldi a personale che sul territorio lavorava per l’Anas (la società, se la circostanza dovesse essere provata, è da ritenere parte lesa). Il dato emerge nell’interrogatorio reso da Iavarazzo a luglio del 2020 e depositato la scorsa settimana nel processo di primo grado a carico proprio di Aprile e di altri imputati, innescato dall’indagine della Dda sul business della pubblicità portato avanti dalle aziende Spm, Publione e Adv Comunication.

Iavarazzo ha fatto riferimento agli ipotizzati ‘regali’ donati a dipendenti dell’Anas quando ai magistrati ha raccontato il tentativo di Aprile di piazzare un impianto sul Litorale domizio per promuovere il centro commerciale Jambo: “Era sull’asse-mediano, quando da Castelvolturno si va a Mondragone. Aprile aveva problemi con la Lucam (un’azienda del posto, ndr). Ebbe problemi perché gli venne mandata l’Anas, perché fino all’inizio di Castelvolturno o di Mondragone l’Anas già sapeva, quindi ci faceva installare, perché precedentemente chi lavorava nell’Anas, gli addetti che dovevano provvedere al controllo per non far montare gli impianti, si accontentavano di una tantum a nero e facevano finta di non vendere”. Insomma, la bustarella (presunta) che fa chiudere l’occhio al controllore. Ma in quel frangente, siccome la Lucam “a Mondragone era molto conosciuta fece in modo che Aprile avesse problemi”.

Iavarazzo ha fatto il nome del dipendente dell’Anas che avrebbe intascato il denaro in varie occasioni. Ma l’identità non è stata rivelata dalla Procura: in corso, a quanto pare, ci sono degli approfondimenti.
Il processo, che si sta celebrando dinanzi al Tribunale di Napoli Nord, riprenderà a maggio per il contro-esame di Iavarazzo. Gli imputati rispondono a vario titolo di accusati a vario titolo di illecita concorrenza, trasferimento fraudolento di beni e favoreggiamento.
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