Di Lauro, da stipendiato del clan alla reclusione estrema del 41bis

Il basso profilo del boss dopo che la ‘reggenza’ è tornata ai fratelli

NAPOLI – Il carcere duro era questione di tempo. Troppa attesa, troppa latitanza. Il “sì” al 41bis per Marco Di Lauro è arrivato nella tarda serata di venerdì, poco dopo il termine della visita a Napoli del ministro dell’Interno Matteo Salvini che, proprio a proposito di Di Lauro, aveva riferito che il carcere duro sarebbe stato imminente. Detto fatto. Per il 38enne è iniziata una trafila detentiva difficile, anche perché per lui si tratta della prima esperienza dietro le sbarre. In carcere non c’era mai stato prima.

La latitanza

E’ cresciuto durante la lunga latitanza e, da ragazzo, è diventato uomo. Della sua vita da fuggitivo si sa poco o niente, qualche aneddoto arrivato dai collaboratori di giustizia, dai pentiti che hanno avuto modo di parargli prima che divenisse ufficialmente latitante. Ed è sulla scorta di quei rarissimi racconti che Marco Di Lauro fu incriminato per l’omicidio di Attilio Romanò, avvenuto nel gennaio del 2005, pochi mesi prima che il quartogenito del boss Paolo Di Lauro si desse alla macchia. Per la morte di Romanò, vittima innocente della camorra (fu ammazzato per un tragico scambio di persona), Marco Di Lauro fu condannato al carcere a vita, ma poi la sentenza fu annullata. Fu poi giudicato “non colpevole” anche per l’omicidio del Magic World.

Avvolto dal mistero

Di quei 14 anni di fuga bisognerà capire molto. Si sa che il 38enne percepiva un consistente stipendio mensile. Il dettaglio fu scoperto quando gli inquirenti sequestrarono il libro della contabilità a un affiliato al clan. In quel registro fu possibile capire che tutti i figli del boss Paolo percepivano un lauto compenso. Non c’erano i nomi per esteso degli eredi di Ciruzzo, ma fu possibile individuare il riferimento a loro attraverso la decifrazione di sigle e numeri. In particolare i figli del boss venivano indicati con la lettera F (come figlio) e col numero, crescente, a seconda di chi è era nato per primo: in quella ‘scala’ Marco veniva fu indicato come ‘F4’. Poi, sul suo conto, ci sono le leggende. Quelle che vogliono Marco Di Lauro usare i travestimenti più bizzarri per riuscire a passeggiare indisturbato per le vie di Secondigliano. Qualche uomo di ‘sistema’ che ha potuto vederlo o sentire il racconto di qualche fedelissimo avrebbe detto “è un’altra persona”. Sì, questo è vero.

Una persona (quasi) normale

Ma una persona ‘normale’ che di questa caratteristica aveva fatto un’arma. Tanto normale da vivere in affitto, uscire la sera, presentarsi ai vicini di casa (con un nome falso, certo) e nel contempo in casa non avere carte di identità o di passaporti falsi. Già, perché non c’era nulla di tutto questo nel covo. O meglio, nell’appartamento in cui viveva da circa un anno con la sua storica compagna, Cira Marino. E adesso? A Secondigliano cambia poco, perché il passaggio di consegne c’era di fatto già stato a metà del 2017, quando erano tornati in libertà due dei fratelli più grandi.

All’altezza del padre

E’ stato in quel momento che Marco Di Lauro ha potuto pensare solo alla sua latitanza, adottando una strategia di inabissamento che ha dato più frutti di quanto ritenesse possibile, probabilmente. D’altronde suo padre è rimasto latitante per circa tre anni, dal 2002 al 2005. Il fratello Cosimo appena qualche mese. Su di lui e sulla sua longevità da fuggitivo avrebbero scommesso in pochi. Nella pagine del provvedimento che porto alla ‘Notte delle manette’ si leggeva che nel clan non era “ritenuto alla stessa altezza del padre”. Adesso quel ragazzo è cresciuto e ai giudici ha detto: “Voglio solo stare tranquillo”. Al carcere duro potrà riuscirci.

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