Eppur si muove

La politica nostrana, uniformandosi a tutte le altre istituzioni che erogano servizi in Italia, procede senza tener conto del tempo che intercorre tra il bisogno ed il soddisfacimento dello stesso. La nostra vita quotidiana è fatta di lunghe file ed attese, di malcontento represso e di frustrazione innanzi alle lentezze con le quali ottiene risposte e soluzioni dalla pubblica amministrazione. Cosa ci si può attendere da coloro ai quali hanno già garantito uno stipendio indipendentemente da quel che producono e da come lo producono?. Essi non hanno alcuna necessità di ben operare nei tempi prestabiliti. Peggio ancora in uno Stato che, pur avendo la pretesa di sostituirsi, coi suoi monopoli, alle più disparate funzioni, paga secondo il computo delle sole giornate di presenza e l’osservanza degli orari di lavoro. Quasi del tutto estranei i criteri privatistici basati sull’efficienza, la tempestività, il ragionevole costo e la qualità dei servigi resi ai cittadini. In nome di una presunta superiorità etica dei fini perseguiti dallo Stato, scaturente, nel pubblico servizio, da qualsivoglia interesse economico e quindi del legittimo profitto, dall’assenza della parametrazione del merito e dalla capacità produttiva, tutto pare concesso e tollerato per tre milioni di dipendenti “pubblici”. Un quadro di sicurezza e di garanzie vita natural durante che induce disinteresse, lassismo, corruzione, nell’erogazione dei principali servizi. Senza lo stimolo della competizione, sia pur regolata dalle leggi, nessuno sente il bisogno di migliorarsi e tutto si adagia sul senso di responsabilità e la buona volontà dei singoli. Troppo poco per raggiungere un sufficiente grado di efficienza e di tempestività in un contesto blindato dalle prelazioni statali e dal ferreo controllo dei sindacati che spalleggiano quelle persone che stentiamo a definire “lavoratori”. Se è vero che la competizione, nei limiti disciplinati dalle norme, è da considerarsi la più alta forma di collaborazione tra soggetti che si misurano per offrire il meglio al più basso costo possibile, risulta evidente che,laddove questa manchi, il servizio non dipenderà dal gradimento dell’utente, bensì dai compromessi e dalle tutele che si consumano con il favore della politica e le protezioni sindacali. Ne consegue che solo l’etica pubblica, intesa come l’insieme dei diritti civici e morali che sono consustanziali ai singoli individui, può risvegliare le coscienze. Ed è questo senso etico che crea il divario tra Nord e Sud del Belpaese nel modo di vivere la cittadinanza declinandola sia nei diritti da reclamare che nei doveri da rispettare. Se lo Stato non si libera di taluni vincoli, di origine politico clientelare, e non taglia i cordoni dei privilegi garantiti al pubblico impiego, la forbice tra le due parti dello Stivale resterà inalterata. Quali ne siano le cause che lo hanno determinato, il divario civico e comportamentale esistente tra le due differenti aree geografiche della nostra nazione, innescherà una palese differenza sulla qualità della vita. Intorno a questo “bubbone” si gioca tutta la partita dell’omogeneità della popolazione e degli stili di vita dipendenti dall’organizzazione sociale. Se questa è la situazione che regna nella pubblica amministrazione non c’è da stupirsi che la “macchina” che governa lo Stato, sia pervasa dalla stessa lentezza e dalla medesima disorganizzazione. Sono anni che sul palcoscenico della politica tricolore va in scena la commedia anche quando la trama è da tragedia. Il ritorno al proporzionale ha frammentato il panorama dell’offerta, ha autorizzato i singoli partecipanti a vestire due abiti di scena. Il primo, in campagna elettorale, dogmatico ed intransigente, rivolto agli avversari, praticamente tutti gli altri interlocutori. Il secondo, ad urne chiuse, quello dell’attore giovane che tutti lusinga per poter raffazzonare una maggioranza parlamentare e stare al governo. Una rappresentazione grottesca che ultimamente ha favorito la nascita di due governi con la medesima presidenza e una maggioranza parlamentare diametralmente opposta, salvo poi convergere in un esecutivo di salute pubblica con tutti dentro, tranne FdI. A questi ultimi è stato fatto il grande regalo d’essere opposizione unica, lasciandole in esclusività la tesi del Presidenzialismo, ovvero il sistema maggioritario e l’elezione diretta, a suffragio popolare, del presidente del Consiglio e quello della Repubblica. Un tratto di modernità e di efficienza che aveva dato vita alla stagione della Seconda Repubblica con governi stabili e duraturi. Ora qualcosa si muove anche nel buco lasciato dal centro politico e dall’elettorato liberale e moderato. Affidato a Renzi, che rischia defezioni interne dei parlamentari di sinistra, a Carlo Calenda ed ai residui dei cespugli democristiani, con un occhio alla Lega di Salvini. Insomma il “partito della Nazione”, sdegnosamente rifiutato quando ne ricorrevano le condizioni riformiste post referendarie. Ebbene sì: Galileo Galilei avrebbe esclamato “eppur si muove“.

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