Il buco e la toppa

Come avevamo previsto i partiti politici sono usciti piuttosto malconci dall’operazione che ha riportato, per stato di necessità, Sergio Mattarella sul sommo Colle. In queste ore volano stracci ovunque e le due coalizioni, nominalmente presenti sullo scacchiere politico, sono uscite lacerate e piene di buchi dalle trattative per la partita del Quirinale. Tuttavia le analisi che i principali commentatori stanno dedicando all’argomento, indulgono principalmente sugli aspetti più curiosi e marginali della vicenda. Abbiamo saputo, infatti, del disappunto di Mattarella che era già con la testa altrove per godersi, ormai ottuagenario, la famiglia ed il meritato riposo, indispettito a tal punto da non aver voluto ricevere i segretari dei partiti che avevano deciso di riconfermarlo, ma solo i capigruppo parlamentari. Abbiamo appreso che Berlusconi, dal letto di ospedale, una volta escluso dal novero dei papabili, ha trattato ed agito in assoluta autonomia con buona pace dell’unità del centrodestra. Ci hanno rivelato che c’è guerra tra Matteo Salvini – ormai cotto  (e senza bussola nelle ultime ore della trattativa) – e il suo ministro Giancarlo Giorgetti (per non dire dei rimbrotti malmostosi che “il capitano” deve sorbirsi da Luca Zaia). Sono venuti alla luce i giochi di Giorgia Meloni che a tutto pensa pur di distinguersi dalla Lega alla quale vuol strappare il primato di primo partito della presunta e scalcagnata coalizione. Infine i grillini: costoro non hanno bisogno di retroscena perché se le cantano in pubblico con Giggino Di Maio che spara a zero contro un sempre meno azzimato Giuseppe Conte e quell’Alessandro Di Battista che si incunea dall’esterno col richiamo del recupero dell’originale “purezza” di intenti del Movimento. Più felpata è la diatriba nel Partito democratico, merito di una classe dirigente più scafata, abituata a cambiare spesso segretario col veleno più che con la spada. Così dicasi per la sinistra estrema nella quale Fratoianni alza la voce per colpire i “collaborazionisti governativi” come il ministro Speranza.  Insomma: un panorama desolante, nel quale anche il rottamatore rottamato Matteo Renzi esce malconcio per non aver saputo condurre in porto l’operazione Pierferinando Casini presidente della Repubblica, sostenuto dai cespugli del centro. Frizioni non da poco che, prese nel loro complesso, inevitabilmente finiranno per ripercuotersi sul governo nel quale Mario Draghi, invocato come deus ex machina, farà valere le proprie prerogative. In tutto questo bailamme di disgregazione si accenna al varo di una nuova legge elettorale di stampo proporzionale puro. Una scemenza enorme, che andrebbe ancor di più a frammentate il fronte dei partiti. Il proporzionale puro accentuerebbe, infatti, la vocazione a differenziarsi, offrirebbe un incentivo a tutelare le singole identità, andrebbe a rinforzare la causa originaria delle contraddizioni che si sono viste finora in questa legislatura. Non credo che gli elettori ed i politici più avveduti, abbiano dimenticato che il sistema semi  proporzionale ha creato le condizioni per l’ingovernabilità e la frammentazione in atto nel Parlamento. Abbiamo avuto tre governi in quattro anni, due dei quali di segno politico opposto con lo stesso presidente del Consiglio, maggioranze composte da formazioni che si erano scannate ed oltraggiate in campagna elettorale, rendendo inutile e contraddittorio il voto di milioni di italiani. Leghisti e grillini prima, piddini e grillini dopo, si sono messi insieme per mera sopravvivenza. Non a caso il Conte bis ha provveduto a cancellare leggi adottate nel primo governo capitanato dallo stesso soggetto, su immigrazione e sicurezza, diritti e tutele civili. Poi tutti insieme attorno a Draghi a rimescolare nuovamente le carte, sempre in nome della precaria governabilità e stabilità politica. Appare evidente che il rimedio per rifondare leadership e coalizioni oppure le federazioni tra partiti di area politica e programmatica omogenea e coerente, sarebbe un ritorno al maggioritario. Un sistema elettorale reclamato dalla necessità di dover semplificare il quadro politico e poter godere del premio di maggioranza per governare agevolmente.. Solo così si potrebbero avere governi stabili, scelti dagli elettori col voto e non con i traffici di corridoio e le giravolte post elettorali di chi promette una cosa e poi ne realizza un altra in nome della necessità. E perché no, occorrerebbe anche passare all’elezione diretta del Capo dello Stato attraverso l’indicazione programmatica di un’Assemblea Costituente che adegui ed aggiorni l’oramai vetusta Costituzione. Un percorso semplice, democratico e chiaro, comprensibile per la gente, tale da avvicinare la stessa alle urne ed alla politica. Invece lorsignori pare vogliano andare nella direzione opposta, pensando di racimolare la propria aliquota di consenso elettorale per poi venderla dopo le elezioni. Insomma vogliono metterci una toppa ancora peggiore del buco.

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