Il Covid-19 e le cardiopatie

L'intervento di Antonio Fiorillo, specialista in cardiologia

Il nuovo Coronavirus è fratello di quello che ha provocato la Sars, da qui il nome scelto di “Sars-Cov-2”.

La caratteristica di questi virus è l’alto rischio di infezioni polmonari gravi, talora letali. L’infezione virale e la polmonite sovrapposta influenzano il sistema cardiovascolare e i pazienti con insufficienza cardiaca o con coronaropatia sono a rischio di eventi proprio perché i virus hanno la capacità di destabilizzare le placche arteriosclerotiche coronariche, soprattutto tramite l’infiammazione sistemica documentata anche in caso di Covid-19. Pertanto altre patologie preesistenti come l’insufficienza respiratoria, il diabete, l’ipertensione arteriosa aumentano ulteriormente i rischi di un paziente cardiopatico. In questi pazienti cardiopatici con Covid-19 è frequente un’evoluzione della malattia verso lo scompenso cardiaco e la comparsa di aritmie serie come la fibrillazione atriale. La mortalità in questi pazienti è di circa l’11 per cento, più alta di quella di soggetti senza preesistente cardiopatia. Gli anziani, poi, hanno meno probabilità di avere febbre per cui è indispensabile una valutazione attenta di altri sintomi, come tosse o respiro corto. Questa è un’epidemia con un profilo clinico ancora incerto. In Italia l’età media dei pazienti deceduti e positivi al Corosnavirus è di 79 anni. Tra le patologie pregresse di questi ultimi sono state evidenziate l’ipertensione arteriosa, la cardiopatia ischemica, la fibrillazione atriale e un cancro attivo negli ultimi 5 anni.

Il Coronavirus distrugge i polmoni ma le patologie maggiormente legate ai casi più gravi di Covid-19 sono le disfunzioni cardiache. Anche se l’influenza specifica del Covid-19 sul sistema cardiovascolare resta incerta, l’American college of Cardiology afferma: “Ci sono stati rapporti di severi danni cardiaci, aritmie, ipotensione, tachicardia e un’alta proporzione di disturbi concomitanti cardiovascolari nelle persone infette, in particolare quelli che necessitano di cure più intensive”. Uno studio di 150 pazienti di Wuhan, in Cina, l’epicentro della diffusione del Coronavirus ha scoperto che i pazienti con patologie cardiovascolari avevano un rischio molto più alto di morte durante l’infezione. Questo perché cuore e polmoni sono incredibilmente interconnessi. Se si inspira ed espira velocemente il battito aumenta automaticamente la sua velocità. Ma se il cuore è già debole o se ci sono arterie ostruite, allora per far circolare sangue e ossigeno nel corpo l’organismo fa uno sforzo ben più grande di una persona sana. Questo è il punto di non ritorno.

Da tempo è stato riconosciuto che l’influenza è un detonatore di infarti e disturbi cardiovascolari, così tanto che alcuni medici si sono chiesti se il virus stagionale ne sia una causa diretta. Uno studio del 2018 pubblicato sul “New England Journal of medicine” ha scoperto che in 7 giorni da una diagnosi di influenza le probabilità di avere un infarto aumentano di 6 volte. In uno studio preliminare di pazienti di Coronavirus di Wuhan, il 4 per cento dei casi confermati erano infetti da una secondo virus, per lo più l’influenza. Se il sistema immunitario è già indebolito perché sta lottando contro uno dei maggiori agenti patogeni, si è molto più suscettibili ad una infezione secondaria. Un primo studio dei pazienti di Wuhan ha individuato miocarditi fulminanti, una sindrome insolita che erode i muscoli del cuore.

Al di là della salute cardiaca, la diffusione del Coronavirus ha gravi implicazioni per le persone affette da disturbi respiratori cronici, come la fibrosi cistica, la broncopneumopatia cronica istruttiva, l’asma, le allergie, così come per le persone con problemi polmonari dovuti al fumo. Già premesso, gli esperti hanno suggerito che l’uso rigoroso di agenti stabilizzatori della placca ateromasica, in modo orientato alle linee guida, possa offrire una protezione aggiuntiva ai pazienti con malattie cardiovascolari, mentre è in corso un focolaio diffuso ovvero è importante che i pazienti cardiopatici seguano la terapia farmacologica in corso per le loro patologie e rimangano in regola con le vaccinazioni,. Incluso il vaccino pneumococcico, dato l’aumento del rischio di infezione batterica secondaria. Non abbiamo molte certezze scientifiche ma è ormai chiaro che quella del Covid-19 è un’epidemia al momento con un profilo clinico incerto; i medici dovrebbero essere pronti a modificare gli orientamenti clinici quando diverranno disponibili ulteriori informazioni. Alcuni farmaci indicati per l’ipertensione, gli aceinibitori e i farmaci antagonisti del recettore dell’angiotensina2, potrebbero contribuire allo sviluppo della forma grave di Covid-19, secondo l’opinione di due esperti un epidemiologo svizzero e un professore di patologie italiana, le cui opinioni sono state pubblicate sottoforma di lettere dal “British medical journal”. Sono opinioni e devono essere verificate attraverso studi epidemiologici.

di Antonia Fiorillo, specialista in cardiologia

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