Il partito che non c’è

Parlamento

Oggi si vota. La “tregua” elettorale proibisce ogni tipo di propaganda. Di conseguenza anche questa rubrica dovrà attenersi alle ferree regole del silenzio. Tuttavia, ci sia consentita un’eccezione: il veto, infatti, non riguarda la discussione politica in generale, né tantomeno il voler parlare (bene) di un partito che non c’è e che come tale non figura affatto sulla scheda elettorale. Insomma: un soggetto politico metafisico, ancora in nuce, una sorta di Araba Fenice. Ed è appunto di un partito che milioni di italiani non potranno votare che ci preme discutere in questa sede. Un partito innanzitutto maggioritario, che sposi un sistema elettorale come quello che, sotto il nome di Mattarellum, abbiamo maldestramente accantonato in favore di un sistema proporzionale il cui unico merito è stato quello di sottrarre agli elettori “opzioni” importanti in cambio della relativa (ed opinabile) designazione del candidato con l’introduzione della preferenza. Una scelta, quest’ultima, si badi bene, gravata dal rispetto di un vincolo come l’alternanza di genere (uomo – donna – uomo e viceversa) che impedisce, di fatto, una decisione pienamente discrezionale. Ma il proporzionale ha privato gli elettori anche della capacità di poter scegliere tra blocchi omogenei formatisi prima e non dopo il voto, magari attraverso complessi giochi di palazzo e che ha garantito all’Italia un ventennio di perfetta alternanza al potere tra blocchi politicamente diversi.

Come se non bastasse, questo stesso sistema ha impedito agli elettori la possibilità di potersi scegliere il Governo e surrettiziamente il presidente del Consiglio che coincide, poi, con il capo politico indicato dalla coalizione vincente. Insomma: il de profundis di un maggioritario che garantiva la semplificazione del quadro politico con adeguate soglie di sbarramento, ulteriormente integrabile con un semplice diritto di tribuna per i partiti e le coalizioni più piccole.

Aver lasciato, in questa fase della nostra storia, ai social network ed a chi, come la Casaleggio & Associati, li utilizzava sapientemente, la possibilità di formare l’opinione pubblica, ha portato ad enfatizzare e caricare di eccessivi significati il voto di preferenza e la scelta del candidato a discapito di altre più importanti prerogative. Buttata via l’acqua sporca della partitocrazia, ovvero l’asfissiante applicazione del Manuale Cencelli e l’occupazione dello Stato da parte degli apparati di partito, è stato buttato via anche il bambino del ruolo e della funzione dei partiti politici.

Sempre via network si è formato un pensiero cialtrone, manifestato da un linguaggio aggressivo, scurrile, demagogico, che ha indicato nei partiti e nella politica le fonti del malgoverno e della corruttela, a fronte di un nuovo ordine etico sociale che avrebbe dovuto nascere dal basso. Finanche gli istituti parlamentari ne sono usciti malconci, bollati come covi di malaffare e non più presidio ed espressione del libero voto popolare. Alle regole della democrazia rappresentativa si sono contrapposte quelle di un assemblearismo permanente che attraverso l’uso dei social avrebbe potuto addirittura far governare la Nazione, direttamente dai Cittadini. Un’apoteosi di baggianate rivelatisi, nel breve giro di qualche anno, per quelle che veramente sono: una mera mistificazione della realtà a vantaggio di uomini mediocri spesso ignoranti, etero-diretti da abili arrivisti. Per sgombrare il campo da tutto questo occorrerà mettere in campo un rilancio di valori aggreganti, di programmi, di uomini anche nuovi ma che siano, al tempo stesso, rispettosi della verità e coscienti della storia politica ed economica del nostro Paese. Solo con costoro si potrà dar vita al “partito che non c’è”, l’unico in grado di riportare la Nazione sul binario del buon senso e della ragionevolezza, spogliata dalle promesse demagogiche e clientelari. Un partito che stia coi piedi per terra e non con la testa nelle nuvole ideologiche di un passato che non può tornare. Un partito che nasca dalla elementare constatazione che occorre ammodernare e riformare lo Stato, che bisogna rilanciare le funzioni primarie per il progresso sociale e l’avanzamento culturale, a cominciare dalla scuola meritocratica ancorché gratuita, alla soppressione delle greppie statali in favore di un nuovo e diverso welfare state, all’introduzione della “sana concorrenza” sotto l’imperio di leggi e controlli in tutti i sistemi economici e di impresa pubblici. Per fare questo non occorrono grandi menti ma grandi passioni e grande cuore. In breve, serve amore per l’Italia.

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