La democrazia che non fa sconti

Il governo inglese guidato dal primo ministro Boris Johnson, è sull’orlo del baratro. Tutti i principali organi di informazione britannici lo danno per spacciato. Nella patria dove sono nati il liberalismo e la democrazia parlamentare, sia pure in un contesto di antichissima tradizione monarchica, vige l’assoluto rispetto per le istituzioni e coloro che ne fanno parte sono soggetti ad osservare comportamenti irreprensibili sia in pubblico che in privato. L’Inghilterra è, a tutt’oggi, a capo di una vasta organizzazione intergovernativa, il Commonwealth (Bene Comune), alla quale aderiscono, sostanzialmente, molte delle ex colonie britanniche (dall’India al Canada, dall’Australia, al Sud Africa) ed una ventina di piccoli stati sparsi per il mondo. I rapporti entro quest’alleanza fanno salve le prerogative di autonomia politica, essendo incentrati su fattori di scambio commerciale e di difesa comune. Un vasto e moderno impero, insomma, presieduto dalla corona di Londra che vede sul trono Elisabetta II da oltre settant’anni. Il ruolo svolto dalla monarchia, in quest’ambito, è quello di rappresentanza e di garanzia delle istituzioni inglesi. Sua maestà sovrintende anche quelle eminentemente economiche legate al bene comune. La stampa è libera ed aggressiva, l’ente televisivo di Stato (la BBC), lungi dall’essere controllato dal potere politico, svolge un ruolo di neutralità e di correttezza, contrariamente a quello che accade a casa nostra nel grande carrozzone politico di mamma RAI, dove la spartizione ed i condizionamenti partitocratici la fanno da padrone. Insomma: un sistema, quello “british”, improntato ad un’austera sobrietà e ad un’autentica serietà che rendono l’isola al di là della Manica, un modello per tutto il mondo occidentale. In un siffatto contesto istituzionale, che vanta tradizioni secolari fin dalla nascita della carta dei diritti civili e delle libertà individuali (il “Bill of Right”), chi sgarra paga senza remissione di peccati, perché va mantenuta e garantita l’immagine stessa di uno Stato autorevole e rispettoso delle proprie tradizioni. Non ci sono mediazioni e sotterfugi in grado di sfuggire a quella regola generale fatta di deontologia e di rispetto del dettato legislativo. Se Massimiliano Cencelli, “inventore” del celebre manuale per la spartizione delle cariche governative, fosse nato in Inghilterra, sarebbe stato probabilmente un…disoccupato di lusso. I partiti politici di quella Nazione sono praticamente due: laburisti, che al loro interno rappresentano tutto l’arco della sinistra politica (dai social democratici all’ala “fabiana” di ispirazione socialista marxista) e conservatori (rappresentati delle varie tipologie liberal). Il sistema elettorale è di tipo maggioritario con collegi uninominali senza posti per liste proporzionali (che in Italia rappresentano una sorta di paracadute per i nominati). Caduto un governo in Inghilterra si ritorna alle decisioni del popolo e nel breve volgere di un trimestre se ne insedia un altro con un nuovo inquilino al numero 10 di Downing Street sede del primo ministro. Un armonico ed antico rituale che garantisce nella sostanza e nella forma il rispetto della volontà popolare e la legittimazione politica di chi viene chiamato a governare. La regina ratifica e garantisce l’osservanza delle leggi e delle procedure: regna ma non governa. Gli esecutivi decidono rapidamente così come il parlamento, nel votare le leggi, pur esistendo una seconda camera, quella dei Lord, di nomina della corona, che ha solo funzione di rappresentanza. Mesi addietro, durante il lockdown, il primo ministro ricevette persone in casa sua e fu fotografato mentre brindava con i propri ospiti. Fu uno scandalo. In seguito un suo ministro fu scoperto ubriaco in un locale mentre molestava altri uomini tra i quali un parlamentare. Altro scandalo che lo costrinse alle dimissioni. La cosa evidentemente non è finita tarallucci e vino. E’ bastata infatti la posizione minimalista assunta da Johnson su quei due episodi ed il conseguente atteggiamento a sottrarsi alla discussione in Parlamento su quei casi scabrosi, perché il governo fosse travolto. Le critiche della stampa e dell’opinione pubblica hanno indotto mezza dozzina di ministri a rassegnare le dimissioni per aperto contrasto con le opinioni del leader. E’ bastato insomma violare la collegialità decisionale del governo conservatore e le istanze delle opposizioni per determinare la crisi. Roba dell’altro mondo innanzi alle manfrine ed ai teatrini “made in Italy” ai quali hanno dato vita, in questi mesi, gli ex rivoluzionari a Cinque Stelle conclusisi con un unanime permanenza sulle poltrone di Palazzo Chigi e dintorni. Se esiste un metro di giudizio tra una vera democrazia e quel surrogato che si spaccia per tale nel Belpaese, credo che quello inglese potrebbe essere adottato come misura. In democrazia non si fanno sconti. La critica e la consequenziale coerenza non hanno surrogati.

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