L’umanità come comunità di destino

L’internazionalizzazione di un movimento non deve e non può essere snobbato dalla critica o banalizzato in poche battute

Ernesto Paolozzi, docente di Storia della Filosofia contemporanea presso l'università Suor Orsola Benincasa di Napoli

In Italia e in gran parte del mondo occidentale il sentimento dell’antipatia, forte e radicato nell’animo umano, ha in parte sostituito il giudizio morale, ideale, economico e politico. Quando si dice che si vota contro e non per qualcuno si dice in parte la verità ed il motivo di fondo consiste proprio nel dominio di questo sentimento che spesso offusca la ragione e perfino la ricerca dell’interesse personale. Non è sfuggita a questa prova Greta, la ragazzina ormai notissima che ha contribuito a mobilitare milioni e milioni di giovani in tutto il mondo e anche in Italia in più di 180 città per il Fridays for Future. Ma il tema centrale della polemica politica che tiene insieme questi giovani, quale che sia il giudizio che si possa dare di Greta o dell’atteggiamento che a volte può sembrare superficiale, il tema dell’ambiente, del rischio del disastro ecologico è tema fondamentale che nessun sentimento elementare può oscurare. Ed è tema tutto sommato non nuovo giacché già quelli della mia generazione, dal cosiddetto ’68 in poi, affrontarono la grande questione ambientale in maniera certe volte violenta, incastonata in un quadro ideologico molto più chiaro e preciso di quello di oggi nel bene come nel male.

Si trattava di una componente, la lotta in favore dell’ambiente, che secondo quegli anni di illusione ed eccessivo furore rientrava nella lotta al capitalismo inteso come il male assoluto. Anche oggi per la verità il nuovo movimento ambientalista si presenta in funzione anti capitalista ma con uno spirito molto più pragmatico e meno ideologico. Si chiede ai cosiddetti grandi del mondo, ai potenti che poi così potenti non sono, di collaborare, di riuscire finalmente a comprendere che l’ecosistema potrebbe arrivare ad un punto di rottura definitiva.

Per chi non è particolarmente esperto della questione è difficile dare un giudizio definitivo sulle cause dell’inquinamento mondiale, soprattutto in ordine al global warming. Si esercita una certa propaganda sia nei fautori che nei negazionisti. Ma ciò che è intuitivo e dovrebbe essere accettato da tutti è che quel tipo di sviluppo sociale ed economico mette a repentaglio il sistema pianeta terra. E’ intuitivo e non c’è bisogno di spiegarlo tanto.

Semmai, bisognerebbe porre con più attenzione la questione della tecnica perché la tecnica, come ogni strumento, può portarci alla distruzione ma anche, se ben governata con intelligenza e generosità, aiutarci a risolvere radicalmente la questione. E qui veniamo ad un punto importante.

Il nuovo movimento ambientalista ha contorni politici troppo sfumati e questo rischia di dargli sui tempi lunghi meno forza, meno radicamento nelle coscienze e nelle passioni delle persone. Può raggiungere un unanime consenso proprio perché poco politicizzato, ma i consensi unanimi sono destinati a durare lo spazio di un mattino. Senza ovviamente nessuna particolare nostalgia per i ruggenti anni ’70. Il nuovo movimento giovanile ha come sua caratteristica l’essere un movimento internazionale. Accade di tanto in tanto nella storia: il 1848 e poi ancora il 1968.

L’internazionalizzazione di un movimento non deve e non può essere snobbato dalla critica o banalizzato in poche battute. Anche se non si è d’accordo bisogna guardare con rispetto, semmai con timore ad una così vasta mobilitazione di coscienza, di persone in paesi così lontani tra loro per cultura, storia e tradizione. Assieme all’internazionalismo esso è trasversale. Scarsamente politicizzato ma politicizzato quel tanto che gli consente di occupare un grande spazio a sinistra ma anche in tanti altri ambienti. D’altro canto l’ambientalismo ha sempre avuto questa sua caratteristica. Si pensi ad esempio alle encicliche di Papa Giovanni XXIII che pose con grande forza la questione della difesa dell’ambiente come difesa del genere umano e soprattutto dei più poveri e diseredati. Fu uno degli elementi centrali di quella grande svolta che fu il Concilio Vaticano II. Con un richiamo esplicito e non poteva essere altrimenti al Laudato Sii di San Francesco. Ma già prima, nel mondo liberale e laico quando l’insorgenza ambientalista non era così drammatica si crearono in Italia movimenti in difesa dell’ambiente. La famiglia materna di Benedetto Croce, ad esempio, si batté per fondare il primo parco nazionale italiano, quello dell’Abruzzo. L’organizzazione Italia Nostra si inserisce in questo filone tipicamente democratico liberale.

Ma per tornare a Giovanni XXIII, quello che oggi dovremmo discutere tutti è se, come ha incitato qualche anno fa Edgar Morin, attorno ad un movimento ambientalista giovanile non si possano ricreare le condizioni per comprendere che noi siamo una comunità di destino, siamo l’umanità. E che la difesa del globo terracqueo deve essere certamente il punto fondamentale del nostro impegno, la bussola che può muovere nuove passioni, nuove libertà.

Ernesto Paolozzi, professore di Storia della filosofia contemporanea

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