MONDRAGONE – Pagliuca, Fragnoli e Gagliardi: con i La Torre ormai in decadenza, sono queste tre cosche (confederate) a gestire i principali business criminali in città. E oltre allo spaccio di narcotici, attività che garantisce costanti entrate per mantenere le famiglie dei detenuti, è in ripresa anche la loro azione estorsiva.
Logicamente, c’è pizzo e pizzo. Spieghiamo meglio: c’è quello che viene imposto dai gruppi criminali a commercianti e imprenditori facendo leva sulla propria forza intimidatrice, e c’è quello che, sostanzialmente, maschera il pagamento di una quota dei profitti che l’imprenditore versa perché socio dei mafiosi (quindi una sorta di dividendo) o per ripagarli dei servizi di cui ha usufruito (protezione, sostegno nell’aggiudicazione di un appalto, ecc…). E in entrambi i casi, spesso, le estorsioni vengono pagate sfruttando dei ‘locker’ insoliti, cioè dei punti di ritiro con caratteristiche tali da rendere difficile agli investigatori l’individuazione di chi paga e di chi ritira.
Quali sono? Si tratta di locali, spesso bar o negozi, dove l’imprenditore (vittima o socio) lascia il denaro e successivamente, anche dopo qualche giorno, l’uomo incaricato dal clan passa indisturbato a ritirarlo. Logicamente si tratta di fasi che avvengono sotto gli occhi dei titolari di queste attività commerciali.
Chiariamo: è uno stratagemma non brevettato dai mondragonesi. E’ usato in tantissime realtà criminali e, qualche anno fa, è stato tracciato anche dai carabinieri della Compagnia di Capua nel corso dell’indagine sui Ligato: i militari sostenevano che i componenti della famiglia del boss Raffaele, scomparso nel 2022, ritiravano nei locali dell’Agro caleno i soldi che i titolari di un’agenzia funebre lasciavano per loro.
La recrudescenza del fenomeno estorsivo dimostra una crescita delle organizzazioni mafiose sul Litorale. Oltre a garantire loro denaro, il pizzo è un sistema che permette alle cosche di marcare il territorio. Ed è una pericolosa avanzata che può essere contrastata sicuramente attraverso le indagini dell’Antimafia, tese a tracciare chi ora opera per le tre cosche (e i nuovi capi). Ma non basterà. È necessario che questa azione repressiva venga accompagnata un moto sociale di rivalsa nei confronti della mafia locale. Politici, chiesa e scuola devono aiutare a diffondere in città la cultura anti-mafia (iniziare a parlarne con frequenza potrebbe essere già un passo importante).
Chi riceve richieste estorsive (parliamo degli imprenditori vittime – non di quelli soci dei mafiosi) deve reagire denunciando. E a spingerlo (aiutarlo) ad andare dalle forze dell’ordine (perché ci vuole coraggio) devono essere tutte le componenti sane della società civile. Se, invece, decide di sottostare, aspettando e sperando che arrivi l’autorità giudiziaria a liberarlo dalla morsa delle cosche, anche quando gli estorsori saranno arrestati, per la città sarà una vittoria mutilata. Perché Fragnoli, Gagliardi, Pagliuca e La Torre, dopo qualche mese-anno, riacquisteranno l’energia e la forza per riorganizzarsi: assolderanno nuove leve e torneranno da lui per chiedere, ancora una volta, il pizzo.
Pagliuca, Fragnoli e Gagliardi rialzano la testa
Se hanno rialzato la testa, se hanno ricominciato a farsi sentire con più intensità, è anche per le recenti scarcerazioni. Dopo aver trascorso anni e anni in cella, diversi pezzi da novanta del clan sono tornati in città. E, stando alle indagini condotte dalla Dda, si sono subito rituffati nel crimine.
A marzo, a finire nei guai è stato il boss Angelo Gagliardi: i carabinieri del Reparto territoriale di Mondragone, coordinati dalla Dda di Napoli, sostengono che il mafioso avrebbe ‘benedetto’ un gruppo di spacciatori in grado di commerciare ingenti quantitativi di hashish, marijuana, cocaina e crack sul Litorale. Gagliardi, afferma l’accusa, facendo leva sul suo peso mafioso, non solo si arrogava il potere di autorizzare l’attività di spaccio, ma sarebbe stato lui a individuare i responsabili e i gestori dello smercio di narcotici sul Litorale, imponendo, inoltre, una quota che dovevano versargli (fin quando è stato libero, poi ad incassarla è stata la sua famiglia).
Gagliardi, dopo aver trascorso oltre 20 anni in carcere, era tornato a Mondragone nel 2018, ma nel 2020 venne riportato in cella con l’accusa di stalking.
Passando alla cosca Fragnoli, uno dei suoi uomini di vertice, Giacomo, dopo 12 anni di prigione, era sbarcato sul Litorale lo scorso gennaio. Un ritorno ritenuto dagli investigatori pericoloso, coinciso con l’intenzione del gruppo, stando alla tesi dei carabinieri, di procedere a una riorganizzazione strutturale della compagine. La libertà di Giacomo Fragnoli è durata poco: è stato arrestato poco meno di due mesi fa con l’accusa di aver organizzato nel 2003 l’assassinio di Giuseppe Mancone.
Pure i La Torre si erano riaffacciati sulla scena criminale: fermate le ambizioni mafiose di Francesco Tiberio La Torre (figlio del boss Augusto) e dello zio Antonio con arresti e condanne, negli ultimi mesi si era fatto sentire un altro Francesco Tiberio La Torre: ci riferiamo a quello noto come Puntinella, cugino di Augusto. Anche lui, messosi il carcere alle spalle, subito si sarebbe rituffato nel mondo della criminalità: stando a quanto accertato dalla Dda di Napoli, avrebbe spillato denaro all’imprenditore Alfredo Campoli, marito dell’assessore Rosa Tramonti, e provato a estorcere denaro anche al consigliere regionale Giovanni Zannini (entrambe le vittime hanno denunciato).
Chi si sta muovendo sotto traccia ed ha adottato una strategia criminale meno rumorosa (simile a quella degli Zagaria del clan dei Casalesi) sono i Pagliuca (a breve dovrebbe essere scarcerato Roberto): non molto coinvolti nel business della droga, da cui comunque raccolgono una quota, si stanno dedicando soprattutto ad attività imprenditoriali. Tra i suoi esponenti di spicco recentemente tornati in città figura Americo Di Leone (logicamente la speranza è che abbia troncato i suoi rapporti con la criminalità organizzata e che si stia dedicando ad altro).
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