Memoria corta, miseria certa

Vincenzo D'Anna

Sono mesi che giornali, tv e politici sono lì a parlare di crescita della diseguaglianza sociale, evento che sembra preoccupare più della stagnazione economica. Secondo Banca d’Italia la recessione incombe,  mentre secondo il Fondo Monetario Internazionale esisterebbe addirittura un “pericolo Italia” che rischia di gravare sulla stabilità economica generale. Insomma, due fonti accreditate che “bollano” in maniera negativa il risultato di un anno di governo a guida M5S-Lega. 

E Tuttavia per i nostalgici del socialismo e dello statalismo, pauperistico ed assistenziale, le cause della crisi hanno origine dalla Globalizzazione, moderna espressione del Capitalismo e del cosiddetto Liberismo, che altri non è che il libero mercato di concorrenza. Sono anni che  il Liberismo viene sempre spregiativamente aggettivato come “liberismo selvaggio”, indicato come generatore di  diseguaglianze  e  di emarginazione sociale dei ceti meno abbienti. Una mistificazione  che addossa al libero mercato ed alle sue regole concorrenziali, la causa dei mali delle disuguaglianze sociale, ancorché il debito statale abbia radici del tutto diverse se non in antitesi con i principii e le regole del libero mercato. Un tesi farlocca quanto convincente, quella contro il mercato, riproposta prima, durante e finanche dopo il misero crollo del socialismo marxista e dei regimi liberticidi costruiti sul tragico errore di scambiare l’uguaglianza con la giustizia. Tuttavia c’è ancora chi pensa che Carlo Marx possa risorgere come la mitologica Araba Fenice. Non a caso il sociologo e filosofo Sebastiano Maffettone indica nella rinascita dell’ideologo di Treviri il motivo per rianimare una sinistra politica che avrebbe perso ogni considerazione e solidarietà verso i poveri. Così non è per il semplice fatto che quella stessa sinistra ha dovuto governare, ha dovuto fare i conti con le ragioni della economia reale, dei bisogni della produzione e dell’occupazione, del debito pubblico accumulato e dei vincoli di spesa. Ha toccato con mano quando sia distante la realtà di governo di una nazione complessa e moderna L tempo stesso, dalla edificazione dell’Utopia socialista. 

Maffettone non è il solo ad indicare vecchie strade e non sarà neanche l’ultimo a sperare che il Marxismo, seppur fallito in tutto il mondo, possa  riuscire ad emendarsi ed a migliorarsi per ridare speranza ai derelitti.  

Nasce da questa eterna fatale illusione, la forza polemica che alimenta le critiche dei nostalgici dello “Stato Massimo”. Essi si adeguano alle circostanze del momento. Cambiano le parole d’ordine, gli allarmi sociali, le tesi filosofiche e culturali, ma il vero motivo di fondo resta l’idiosincrasia verso tutto quello che genera competizione, selezione, merito. La  globalizzazione viene dipinta  come un inferno in terra, induttrice di sfruttamento delle risorse naturali e della mano d’opera a basso costo. Tuttavia, contrariamente al catastrofismo, assistiamo ad un aumento del pil e della ricchezza pro capite  in un altro grande emisfero terrestre, l’Asia, ove milioni di persone hanno riscattato fame e miseria secolare. 

Nel Vecchio Continente simili traguardi sono stati raggiunti da molto tempo e l’unico effetto della globalizzazione è stato quello di aver scardinato un’idea falsa e malsana, molto diffusa, ovvero che il progresso ed il livello benessere delle popolazioni potesse aumentare all’infinito. Interrotto  il ciclo del benessere,  oggi il povero è diventato quello al quale mancano i generi voluttuari, non quelli essenziali per vivere. Ciò nonostante gli indomabili adoratori dello Stato e degli assistenzialismi a debito crescente, non demordono e fingono di dimenticare il passato e le condizioni di vita generale del popolo. Dimenticano che nelle economie autoritarie, pianificate, ove non c’era accumulazione privata né privata iniziativa, le ricchezze venivano incamerate dallo Stato e dal partito egemone, rese disponibili solamente per le nomenclature presenti negli ambiti ristretti del potere. I popoli invece se la passavano male, l’eguaglianza livellatrice, la pretesa di poter programmare e prevedere gli esiti di vita della popolazione, venivano pagate con la miseria collettiva, comune, comunista. 

Tragedie immani sono scaturite dall’uguaglianza forzosa di sistemi che garantivano l’uguaglianza delle opportunità ma non quella degli esiti di vita. È proprio così che nelle mani di poche centinaia di persone finisce una ricchezza immensa, ma non si tratta dell’accumulo del satrapo di turno che cammina su ponti d’oro, bensì di capitali che se reinvestiti produttivamente, potrebbero creare altra ricchezza, lavoro e benessere sopratutto ai ceti meno abbienti.  Si tratta di tenere presente  la Storia dell’Umanità. Con una  memoria corta, la miseria sarà certa.

*ex parlamentare

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