I nani di Bruxelles

I telegiornali ne parlano continuamente. I politici italiani si accapigliano su chi sia stato ad avallarlo, gli economisti lo ritengono inutile e forse non applicabile; altri un nodo scorsoio che, a poco a poco, strangolerà ogni proposito di sviluppo. Si tratta del Patto di Stabilità, il documento che i paesi membri dell’UE contrassero per mantenere sotto controllo i bilanci nazionali e, con essi, il rapporto tra debito e prodotto interno lordo (Pil). Il tutto per mantenere stabile il valore dell’euro. Per fare un esempio concreto, bisogna immaginare un condominio con una trentina di famiglie che utilizzano la stessa moneta: il potere di acquisto e la stabilità di quel “soldo” dipendono dai bilanci dei singoli nuclei familiari. Ora, se questi ultimi sono pieno di debiti o hanno un reddito basso, ecco che il potere di acquisto sarà scarso in quanto poco gradito ai commercianti che dovranno accettare quel denaro in cambio delle merci vendute. Viceversa se il livello dei debiti è basso ed i redditi alti, ecco che la moneta sarà ritenuta stabilmente di alta capacità di acquisto sui mercati. Un esempio, il nostro, che dovrebbe servire al lettore affinché comprenda che quello di cui si discute in Europa finisce per avere riflessi diretti sulle famiglie che usano l’euro. Per dirla in sintesi, la politica diventa il governo degli uomini attraverso il governo delle cose che riguardano la loro stessa vita. Un concetto che oggi è scarsamente presente nelle coscienze e nelle menti degli amministrati, della “gente comune” da tempo allontanatasi dalla politica, ritenuta, dai qualunquisti, il luogo dell’illecito e degli interessi personali, più che lo strumento per tutelare quelli collettivi. Piaccia o meno a coloro che disertano le urne e si esercitano nel quotidiano compito di disprezzare l’arte della politica, ogni qual volta che questa decide lo fa in nome e per conto dei cittadini. Tornando nello specifico, il patto di stabilità contiene norme stringenti affinché gli Stati membri della comunità europea riducano la massa debitoria, aumentino il prodotto interno lordo tenendo il rapporto tra questi due fattori entro il sessanta per cento. Non c’è chi non veda quanto questo indice rappresenti lo stato dell’economia nazionale, l’affidabilità e la stabilità delle politiche di bilancio. Tuttavia molti Stati sono ben oltre quel limite di rapporto tra debito e Pil e l’Italia naviga verso una condizione economica che quel limite ha superato di circa tre volte! Una situazione di precarietà che incide e si riflette sulla stabilità della moneta comune. Così per altre nazioni aderenti a cominciare da Grecia, Portogallo, Spagna, comprese la Francia (che raggiunge il doppio del rapporto tra debito e PIL) e la stessa Germania (che naviga intorno all’ottanta  per cento). Frutto di questo stato di cose è la politica adottata dai singoli governi, dell’adozione di leggi senza la necessaria copertura economica, di sprechi e sperperi diffusi nella gestione statale di aziende e servizi pubblici. Insomma, se si governa utilizzando normalmente la leva della spesa a debito crescente si finisce per essere messi all’indice da altre nazioni virtuose che subiscono il deprezzamento della moneta e finiranno per dover contribuire al riequilibrio delle economie disastrate. Dal patto di stabilità e dai parametri in esso contenuti per il rientro degli Stati negli indici convenuti sul debito, dipenderà la governance economica e la politica delle elargizioni solidaristiche e clientelari, degli apparati burocratici e parassitari, ossia del fronte sociale che, alla fine, produce il consenso elettorale. Una partita quindi che può rivelarsi esiziale per chi governa e fortemente strumentale per coloro che si oppongono. Tutto dipende dal complesso dei tempi per il rientro entro i limiti e dalle percentuali fissate per ogni singolo Stato. Se oggi i nuovi Paesi membri, provenienti dall’Est post comunista, stanno ottenendo aiuti per ricostruire ed innovare società ed economie rimaste al palo per decenni, dipenderà anche dallo stato generale in cui verserà l’Europa. Non a caso recalcitrano Polonia ed Ungheria e quest’ultima, guidata del destrorso Victor Orban, pone veti sugli aiuti militari all’Ucraina per poter ottenere che quelle stesse risorse finanziarie siano diversamente impiegate. Tirare dentro l’Unione nazioni con governi mainifestatamente  sovranisti è stato un errore così come copiare l’Onu attribuendo diritti di veto ad ogni singolo Stato membro. Una paralisi che l’Europa non può permettersi. Con statisti come Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schumann, padri costituenti della UE, non sarebbe mai successo. Purtroppo questo è il tempo in cui a Bruxelles operano dei nani, non dei giganti.
*già parlamentare
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