Mondiali, la maledizione europea manda in pezzi il Brasile

Brazil's forward Neymar (L) and Mexico's defender Edson Alvarez vie for the ball during the Russia 2018 World Cup round of 16 football match between Brazil and Mexico at the Samara Arena in Samara on July 2, 2018. / AFP PHOTO / Fabrice COFFRINI / RESTRICTED TO EDITORIAL USE - NO MOBILE PUSH ALERTS/DOWNLOADS

KAZAN – Forse non sarà paragonabile al Mineirazo, la sconfitta per 7-1 contro la Germania nel Mondiale del 2014 giocato in casa. Ma di sicuro quella contro il Belgio nei quarti di finale ha per il Brasile l’effetto di uno specchio che cade a terra frantumandosi in mille pezzi. Si frantumano le certezze di una squadra indicata come assoluta favorita alla vittoria finale, specie dopo l’uscita di scena dell’Argentina e del Portogallo. E si scopre ancora una volta fragile Neymar, il campione-clown, incapace di incidere sulle sorti della Selecao.

MALEDETTA EUROPA

Se le statistiche hanno un senso, allora si capisce che per il Brasile, a secco di titoli dal 2002, l’Europa sia stregata. Da Didì a Neymar è cambiato poco. E la storia dice che quando incrociano una squadra del Vecchio Continente ai quarti di un Mondiale, i verdeoro sono destinati a soccombere. Una sorta di maledizione europea inaugurata addirittura nel 1954, con l’eliminazione contro l’Ungheria, proseguita contro la Francia (nel 1986 e poi nel 2006) e confermata ieri sera contro il Belgio.

GRANDE INCOMPIUTA

Cabala a parte, la gara di Kazan appiccica addosso alla Selecao l’etichetta della grande incompiuta. Il Brasile non vince un Mondiale dal 2002 (l’anno di Ronaldo il Fenomeno capocannoniere) e nelle ultime quattro edizioni del torneo ha sempre disatteso le aspettative. La Francia di Zidane nel 2006, l’Olanda di Robben e Sneijder nel 2010, la granitica Germania del 2014 e ora il Belgio hanno inflitto ai verdeoro delle lezioni durissime. Se a questo aggiungiamo che la Selecao non vince una Copa America dal 2007, il quadro si fa chiaro. E spiega che, a prescindere da Neymar, il Brasile non è ancora uscito da una sorta di limbo generazionale.

FUTURO A RISCHIO

Quel che è peggio, è che la sconfitta col Belgio semina dubbi sul futuro della Selecao e persino di Tite, il ct che pure gode di stima incondizionata per l’eccellente lavoro svolto. Una stima che coinvolge anche i giocatori, compatti nel difendere il lavoro del loro allenatore. Tite però fa capire che una riflessione andrà fatta. Pur masticando amaro per l’esito di una partita che, dice, “abbiamo dominato costruendo occasioni” ma persa perché “il Belgio ha sfruttato le sue meglio di noi”, spiega che del futuro è ancora presto per parlare: “Tra qualche giorno ne parleremo, prima bisogna analizzare il tutto”.

LA SOLITUDINE DI O’NEY

Se il Brasile esce male dal Mondiale, Neymar, la sua stella, ne esce persino peggio. Col Belgio si è battuto, ha sfornato assist e cercato il tiro in porta, ma non ha mai dato l’impressione di potersi davvero caricare la Selecao sulle spalle, di riuscire a dare alla squadra quella scintilla in più che ci si aspetta da un fuoriclasse come lui. Tite lo ha difeso a spada tratta, spiegando che “era all’apice della condizione, a volte non ha eguali al mondo” ma lo stesso O’Ney sa che questa partita lascerà inevitabilmente dei segni anche su di lui. La stella del Psg ha un bilancio di 6 gol e 3 assist in 10 partite giocate in due Mondiali: numeri positivi ma che non gli hanno permesso di lasciare il segno. La Selecao ripartirà da lui, ma per l’ultima occasione. Neymar ha 26 anni e nel 2020, quando si giocherà il Mondiale in Qatar, ne avrà 30. E qualcuno, in Brasile, ricorda che alla stessa età Pelè vinse nel 1970 il suo terzo Mondiale da protagonista.

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