Naufraghi e profeti

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Qualcuno ebbe ad ammonirmi, una volta, che, in fondo, la politica è l’arte del divenire. Non c’è conquista né sconfitta (politica) che non possa essere ribaltata nel tempo, auspici l’umore e le mutate esigenze degli elettori. Questi ultimi, ormai, non guardano più per il sottile: non hanno punti di ancoraggio ideologico né coerenza alcuna con i valori espressi dai partiti che, di volta in volta, scelgono nel segreto dell’urna. Elettori che si limitano a valutare, al momento del voto, quali siano le opzioni e gli argomenti che maggiormente li hanno colpiti, li hanno attratti oppure disturbati, in un contesto ove il pragmatismo ed il tornaconto del momento la fanno da padroni. Non è un caso che a ogni tornata elettorale, tutti vadano a caccia dello slogan vincente, dell’idea risolutrice, del colpo ad effetto che possa determinare un largo cambio di opinione favorevole alla proposta. Una parcellizzazione di posizioni politiche che trasformano i partiti in contenitori di occasionali richieste, privi di una strutturazione socio-economica che si richiami a modelli organici  di società. Insomma più che programmi, le forze politiche perseguono e propongono, anche demagogicamente, risoluzioni ai problemi invocati dal popolo.1 Nessuna priorità, dunque, alle questioni urgenti, alle carenze strutturali, nessuna aderenza allo stato in cui versa la finanza pubblica. Questo “recitare a soggetto”, rivolgendosi alla pancia della gente, crea indeterminatezza e cinismo.
Tuttavia, per quanto malferma e confusa sia l’arte della politica, la medesima non si ferma. La necessità  inderogabile di governare l’esistente, di organizzare la civile convivenza, di garantire i diritti, le libertà ai cittadini non consente deroghe inoperose. Parliamoci chiaro: il progresso tecnologico dei nostri tempi, ha consentito la diffusione di notizie in tempi sempre più rapidi, quindi senza margini per la riflessione e l’approfondimento delle questioni sociali e politiche che sono alla base degli eventi importanti. Nell’era di internet, non c’è tempo che per il “sentito dire” che rappresenta la peggiore forma di apprendimento. Allora le notizie di somigliano, le opinioni si massificano, il confronto e le diversità di pensiero si appiattiscono. Basta guardare i pollai delle rubriche politiche televisive, la monotonia e la sovrapposizione della struttura dei telegiornali. Sono passati oltre vent’anni dall’inizio del nuovo secolo, eppure all’antico retaggio di valori e della cultura politica non è ancora subentrato niente di nuovo che sia pregevole ed adeguato. È, questa rappresentazione della cruda realtà, il lamento di un vecchio, un malevolo modo di guardare all’attualità, il segno dei tempi che non viene adeguatamente colto e valorizzato? Credo, in tutta onestà, che sia ancora peggio di quanto ipotizzabile!! Il divario tra vecchio e nuovo, infatti, nasce dal tramonto di un’epoca, consumatasi per l’evaporazione dei valori e la scomparsa di un lessico tipico della politica: l’idea che l’acculturazione che favorisce la diversità di vedute, sia ritenuta una zavorra che rallenti i processi risolutivi. Se neanche la semantica resta tale, se le parole non hanno più lo stesso senso ed hanno cambiato di significato, non c’è verso che si possa trasferire ai contemporanei l’esperienza e la storia politica di chi li ha preceduti. Privato dalla  esperienza storica e culturale, il mondo politico si rinnova ogni giorno e sorge a nuova vita, si aggrappa all’estemporaneità della cronaca. Si può tradurre il tutto in un esempio? Certo,  basta vedere chi oggi governa la Nazione e quanto distanti siano le esperienze, le posizioni, le pregresse prese di posizione degli ex nemici ora collaboratori nel governo. Basta guardare il tg per ascoltare il controcanto di Salvini verso il Pd e l’indifferenza di quest’ultimo verso le posizioni del leghista. Basta guadare l’ennesima arditissima sintesi  politica che Giuseppe Conte ed Enrico Letta stanno tentando di realizzare in  queste ore. Eppure, per paradosso, entrambi gli interlocutori non sono la vera espressione di quanto dicono di rappresentare. Letta è estraneo al Pd (da sette anni) ed alle trasformazioni che il partito della sinistra italiana ha subito negli ultimi anni. Conte è addirittura l’antitesi del modo di ragionare e di agire di Beppe Grillo e non ha nulla da spartire con gli artifici decisionali della piattaforma Rousseau. Se questi leader incarnano idee e propositi diversi dai partiti che hanno ereditato, quale coerenza e quale chiarezza potranno dare alle sintesi politiche che dicono di cercare? Corrono il rischio di diventare ambasciatori di due identiche necessità: quelle del consenso elettorale da racimolare alle prossime scadenze primaverili e nulla di più. Ancora una volta ne verrà fuori qualcosa di diverso da quanto si afferma. Coloro che si vestiranno da profeti si ritroveranno nei panni dei naufraghi aggrappati al più vicino relitto per non affogare.

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