Pa, da Brunetta stretta su smart working ma l’Uilpa non è d’accordo

Modalità, tempi e differenze tra pubblico e privato. E' sempre più aperto il dibattito sullo smart working, diventato un protagonista indiscusso in Italia sin dall'esplodere della pandemia

Foto Roberto Monaldo / LaPresse in foto Renato Brunetta

ROMA – Modalità, tempi e differenze tra pubblico e privato. E’ sempre più aperto il dibattito sullo smart working, diventato un protagonista indiscusso in Italia sin dall’esplodere della pandemia. L’utilizzo del lavoro agile finora è stato molto esteso (in alcuni settori oltre il 70%), ma la situazione sta per cambiare, anche con l’avvento del Green pass. E se il governo valuta l’obbligatorietà del Certificato verde per gli statali, il ministro della Pa sembra pronto a un cambio di passo, con il mondo del privato che viaggia su un proprio binario autonomo. “Lo smart working, sia nel pubblico sia nel privato, è stata una grandissima sperimentazione sociale che è riuscita a tenere in piedi il Paese”, ammette Renato Brunetta, che però in un’intervista al Giornale avvisa tutti: “Che senso ha mantenere ancora questa cappa di straordinarietà quando il Paese chiede che venga accompagnato verso la crescita con tutto il suo capitale umano? Il lavoro in presenza è l’anima di questa rinascita. L’assenza è ancora più pericolosa nel privato, perché rischia di essere prodromica ai licenziamenti di massa”. Parole forti – ma non inedite – che suscitano subito la reazione delle parti sociali. “Siamo rimasti attoniti dalle dichiarazioni di Brunetta”, dice a LaPresse Sandro Colombi, segretario generale Uilpa, che rilancia: “Abbiamo sempre detto che se prolungato lo smart working di massa stravolge l’organizzazione del lavoro. Per noi è indispensabile ricondurre il lavoro agile nella contrattazione collettiva, stiamo rinnovando il contratto delle funzioni centrali e abbiamo chiesto di dedicare una parte a questo aspetto”.

Ecco allora che la replica arriva dall’Aran, con il presidente Antonio Naddeo che parla di polemiche “infondate” sul ruolo della contrattazione e prova a tracciare la linea Maginot: “Occorre riportarlo progressivamente al suo vero ruolo: uno strumento possibile di organizzazione del lavoro”. Ma se tra gli statali il dibattito è apertissimo, come si tanno organizzando i privati? Le dinamiche sono varie, ma l’impressione è quella di un uso abbastanza intensivo del lavoro agile, con un combinazione – seppur minima – con il lavoro in presenza. Il primo esempio arriva da Tim: secondo quanto fanno sapere da Corso d’Italia, nel colosso delle tlc attualmente 36mila persone lavorano in smart working, grazie alle tecnologie e all’alternanza di lavoro dentro e fuori i locali aziendali. Sono previste due modalitá a seconda dei ruoli ricoperti: la prima prevede due giorni di lavoro da remoto e tre giorni presso la sede aziendale per ciascuna settimana. La seconda l’alternanza su base settimanale del lavoro da remoto e di quello in sede. Da ottobre in poi è previsto un graduale rientro negli uffici, ridisegnati in un’ottica di desk sharing: un giorno a settimana o una settimana al mese, a seconda del ruolo.

Nel mondo della consulenza Ernst&Young ha adottato lo smart in modo molto intensivo da oltre un anno e mezzo. Secondo quanto raccolto da LaPresse, la modalità rimane quella di prediligere il lavoro agile con sporadici ingressi in sede, con il posto ‘fisico’ da prenotare il posto precedente. Nulla è stato ancora definito per i prossimi mesi. Di certo Ernst&Young ha sfruttato la familiarità con lo strumento, da tempo utilizzato in azienda.

(LaPresse/Alessandro Banfo)

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