Pizzo per Zagaria, due arresti a Casapesenna

La vittima minacciata di morte e ‘invitata’ a non acquisire un’azienda di rifiuti. Un 59enne e un 49enne sono accusati di estorsione al titolare di un’impresa di Cellole a nome del boss e della ‘ndrangheta

CASAPESENNA – Tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso: è l’accusa contestata dalla Dda che ha portato in cella il 59enne Luigi Del Villano e il 49enne Giovanni Sicilia. Sono stati ammanettati ieri mattina dai carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia di Sessa Aurunca su ordine dell’ufficio gip del tribunale Napoli.

Dall’attività investigativa condotta dai militari dell’Arma, stando a quanto ricostruito dalla Procura distrettuale, è emerso che Del Villano, di Casapesenna, e Sicilia, di origini calabresi ma da alcuni anni trapiantato a San Marcellino, tra settembre e dicembre 2020 si erano presentati ad un imprenditore di Cellole qualificandosi come appartenente al clan Zagaria e alla ‘ndrangheta.

I due lo avrebbero minacciato di morte, anche attraverso l’uso di armi da fuoco, con l’intento di costringerlo al pagamento di un’ingente somma di denaro quale saldo dei lavori edili effettuati da una ditta della provincia di Caserta presso un suo capannone destinato allo stoccaggio dei rifiuti. All’uomo d’affari avrebbero imposto anche il versamento del 5 percento dei lavori eseguiti e cercato di farlo desistere dal comprare una società attiva nel settore della raccolta e del trasporto rifiuti attiva nella provincia di Frosinone.

Ad assistere Del Villano e Sicilia sono gli avvocati Domenico Della Gatta e Mirella Baldascino.
Se il presunto richiamo da parte dei due indagati al clan Zagaria e alla ‘ndrina calabrese sia solo una questione di metodo per obbligare la vittima a pagare, allora ci si trova di fronte ad un classico escamotage criminale per risultare più convincenti nel proprio intento: impaurire e ottenere denaro dall’imprenditore. Se dovesse esserci dell’altro, non solo ‘forma’, ma qualche riferimento sostanziale alle loro parole (ammesso che le abbiano dette), andrebbe a palesarsi un’intesa tra il clan dei Casalesi e la mafia calabrese che punterebbe ormai anche a spremere l’economia casertana e non soltanto più a concentrarsi sui grandi appalti, sul traffico di armi, di droga e di rifiuti.

Giovanni Sicilia, prima di essere portato in cella ieri mattina, era già ai domiciliari a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, perché lo scorso 23 gennaio, i carabinieri di Caserta trovarono in un comodino della biancheria intima della sua abitazione a San Marcellino una semiautomatica, una Bernardelli modello 60 calibro 7,65. Per quell’arma (detenzione illegale e ricettazione) Sicilia è stato già condannato in primo grado a 3 anni e 4 mesi di reclusione, a fronte dei quattro che aveva proposto la Procura di Napoli Nord.

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