Si pente il boss Simioli, tremano i Polverino

Catturato nel 2017, era considerato tra i cento latitanti più pericolosi d’Italia. E’ imputato insieme al boss Giuseppe 'o barone per l’omicidio di Giuseppe Candela

Terremoto nella mala maranese, si pente Giuseppe Simioli. Sarebbe questa la clamorosa decisione presa da colui che viene considerato un ‘pezzo da novanta’ del clan Polverino per una ‘voce’ che ‘girava’ da tempo in determinati ambienti locali. Il 54enne, meglio conosciuto come ‘o petruocelo, avrebbe dunque scelto di iniziare una collaborazione che per molti è giunta inaspettata. L’uomo è imputato in Corte d’Assise d’Appello insieme al boss Giuseppe Polverino ‘o barone per l’omicidio di Giuseppe Candela: in primo grado avevano rimediato entrambi l’ergastolo. Un delitto che avvenne in pieno centro a Marano in una torrida estate del 2009: sul corso Umberto, infatti, la vittima fu centrata da diversi colpi di arma da fuoco per quella che sarebbe stata un’epurazione interna allo stesso clan Polverino. ‘O barone e ‘o petruocelo sono considerati dagli inquirenti i vertici della consorteria criminale attiva tra Marano, Quarto e Calvizzano. Secondo il pentito Roberto Perrone, infatti, Peppe tredici anni sarebbe stato ammazzato proprio per i contrasti interni al gruppo, soprattutto con Giuseppe Simioli. Il 54enne fu arrestato a luglio del 2017 quando era ritenuto il reggente dei Polverino: venne catturato a Ronciglione, piccolo paese del Viterbese, grazie a un’operazione dei carabinieri di Napoli in collaborazione con i cacciatori di Calabria e i militari della locale stazione. Era inserito tra i cento latitanti più pericolosi d’Italia. ‘O petruocelo fu tradito da uno spostamento e fermato, infatti, dopo essere uscito da un’abitazione dell’agro romano per raggiungere un nuovo nascondiglio. Dalla villa extralusso di Campagnano, dotata di tutti i comfort tra cui anche una lussuosa vasca idromassaggio, si era spostato in cerca di un nuovo covo dove provare ad eludere gli investigatori, che erano sulle sue tracce, e continuare a tenere, in questo modo, anche a distanza le redini del clan. Latitante da maggio del 2011, era destinatario di quattro ordini di cattura. L’uomo, secondo quanto emerso nel corso di quella indagine, da diversi anni conduceva una doppia vita, mantenendo moglie e figlio a Marano, ma tenendo in piedi una relazione con una donna straniera dalla quale aveva avuto altri due figli.

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