Turchia: il piano di Erdogan non convince gli economisti. Inflazione alle stelle

Il governo di Ankara e la banca centrale hanno adottato misure non convenzionali nelle ultime settimane per sostenere un'economia paralizzata dai prezzi al consumo alle stelle.

ANKARA – Il governo di Ankara e la banca centrale hanno adottato misure non convenzionali nelle ultime settimane per sostenere un’economia paralizzata dai prezzi al consumo alle stelle. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, rifiuta di tagliare i tassi di interesse andando nella direzione opposta, rispetto a quella indicata dagli economisti, per frenare l’impennata dell’inflazione. Il risultato? L’indebolimento della valuta turca e prezzi ancora più alti con la conseguente difficoltà per la popolazione di accedere ai beni di prima necessità.

COSA SUCCEDE – Erdogan, che ha assunto un atteggiamento sempre più autoritario e si è dichiarato ‘nemico’ degli alti costi finanziari, ha fatto pressioni sulla banca centrale affinché tagli continuamente i tassi di interesse anche se l’inflazione è aumentata del 36% il mese scorso. In confronto, nei 19 paesi dell’area euro ha registrato un aumento record del 5% rispetto all’anno scorso e gli Usa hanno assistito a un picco del 7% in quasi 40 anni.

Secondo il pensiero economico convenzionale, per domare l’inflazione è necessario ricorrere a un aumento dei tassi di interesse. Ma Erdogan si dice contrario. Dal 2019, ha licenziato tre governatori di banche centrali per differenze di vedute sull’argomento, sostenendo che la riduzione dei tassi aumenterà le esportazioni e porterà a una maggiore crescita e posti di lavoro. La sua politica ha messo in fuga gli investitori stranieri, mentre la popolazione ha tentato di mettere al sicuro i propri risparmi, minacciati dai prezzi elevati e dal deprezzamento della lira, convertendoli in valuta straniera o oro. La lira turca ha raggiunto minimi record consecutivi a novembre e dicembre e lo scorso anno ha perso circa il 45% del suo valore rispetto al dollaro Usa.

Con i prezzi in aumento, anche i beni di prima necessità sono fuori dalla portata di molti cittadini. “Chiunque esca a fare la spesa sa che l’inflazione al 36% è fittizia – ha detto Ali Babacan, ex vice primo ministro sotto Erdogan e considerato lo ‘zar dell’economia’ che da allora ha fondato un suo partito (il Democracy and Progress Party).

ERDOGAN COSA FA? – Di fronte a una valuta in rapido crollo ma determinato a non aumentare i tassi di interesse, il mese scorso, Erdogan ha annunciato un programma inteso a incoraggiare le persone a convertire la valuta estera in lira e mantenere i propri risparmi in denaro turco. Con il sistema del ‘deposito protetto dal tasso di cambio’, l’esecutivo di Ankara garantisce che coprirà le perdite se gli interessi che i risparmiatori riceveranno alla scadenza saranno inferiori a quelli che avrebbero guadagnato mantenendo i risparmi in valuta estera.

Da allora, l’esecutivo ha esteso il programma ai corporate account. La banca centrale ha fatto sapere che gli esportatori saranno tenuti a cambiare il 25% delle loro entrate in valuta estera in lire turche. Il governo ha aumentato i contributi ai piani pensionistici privati oltre ad annunciare un aumento del 50% del salario minimo. Salvo poi alzare contemporaneamente i costi del gas e dell’elettricità del 50% per le famiglie che ne fanno un consumo ridotto e del 125% per quelle che invece ne fanno un consumo maggiore.

FUNZIONA? – Erdogan sostiene che il sistema sia un successo: “Siamo lieti della fiducia che i nostri cittadini hanno dimostrato nei confronti dei depositi protetti dal tasso di cambio. Siamo soddisfatti della diminuzione della volatilità dei tassi di cambio e della stabilità continuata”, ha detto questa settimana l’agenzia Anadolu. Stando al ministro del Tesoro, Nureddin Nebati, finora le persone hanno depositato 131 miliardi di lire (9,67 miliardi di dollari) nei suddetti conti.

Dal canto suo Babacan insiste sul fatto che gli investitori turchi mantengano le loro valute estere e stiano semplicemente convertendo tutti i depositi in lire esistenti in conti nell’ambito del programma. “Non c’è alcun incentivo per coloro che hanno valuta straniera a cambiarla (in lire)”, ha ribadito alla Fox TV turca. Secondo l’ex ministro e altri, lo spettacolare rialzo della lira del mese scorso non è stato dovuto al programma, ma alla vendita da parte della banca centrale di miliardi di dollari Usa dalle riserve per sostenere la valuta turca. Nebati, però, ha respinto le accuse.

QUALI RISCHI ALL’ORIZZONTE – Il sistema dei depositi ha fornito una tregua a Erdogan, ponendo fine all’eccessiva volatilità della lira. Ma gli analisti temono che il programma creerà ulteriori problemi economici a lungo termine. Se la lira dovesse crollare di nuovo, il Tesoro turco dovrebbe pagare il conto delle perdite sui tassi di cambio, aumentando ulteriormente l’inflazione e gravando finanziariamente sul governo.

“Il fatto che questi depositi siano legati a valuta estera pone la banca centrale e il tesoro sotto un onere non quantificabile”, ha detto Babacan. L’economista Ozlem Derici Sengul è d’accordo. “Se assisteremo a un deprezzamento della valuta, il Tesoro dovrà pagare la differenza tra il ritorno dei depositi e il deprezzamento. Ciò comporterà un onere aggiuntivo per le finanze pubbliche”, ha spiegato. Un altro problema è la mancanza di un piano per gestire l’inflazione. Quest’ultima è “il vero rischio, ovviamente, perché la politica monetaria è piuttosto allentata”, ha affermato Sengul, partner fondatore di Spinn Consulting, con sede a Istanbul. “Non è probabile che le pressioni inflazionistiche scompaiano facilmente a meno che non si segua una politica monetaria piuttosto restrittiva”, ha aggiunto.

LaPresse

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